Dai primi reattori importati dalla Gran Bretagna negli anni ’50 agli incidenti degli ultimi vent’anni. Il fisico Marco Casolino ripercorre la storia del nucleare in Giappone nel suo libro Come sopravvivere alla radioattività. China Files ne pubblica un estratto (per gentile concessione di Cooper edizioni).
Cenni storici
Il Giappone diede inizio al suo programma nucleare nel 1954, con il primo prototipo di reattore ad acqua bollente reso operativo nel 1963. Il primo reattore commerciale, una unità raffreddata a gas di 160 MW di potenza, fu importato dalla Gran Bretagna negli anni Sessanta, restando operativo dal 1966 sino al 1998.
Successivamente le competenze tecniche delle ditte giapponesi si formarono costruendo in casa reattori e centrali su disegni e brevetti statunitensi. Negli anni Settanta l’industria giapponese giunse ad essere in grado di sviluppare la capacità di progettare e realizzare indipendentemente centrali, vendendo la loro tecnologia sia in Asia che in Europa.
Nel 2008 il Giappone ha prodotto 1.085 miliardi di Kwh, per una potenza media di 123 GW. All’inizio del marzo 2011 i 55 reattori nucleari giapponesi erano in grado di fornire 47.5 GW, pari a circa il 30% della produzione di energia.
L’idroelettrico fornisce il 7.5% e il resto è ottenuto bruciando combustibili fossili.
Il governo giapponese intende implementare i protocolli di Kyoto tramite l’aumento di centrali nucleari. Perciò, volendo ridurre le emissioni di anidride carbonica del 60%, sarà necessario raddoppiare la potenza generata con l’energia nucleare, passando entro il 2050 dal 30% al 60%.
Per raggiungere questo obiettivo si prevede di sviluppare centrali di quarta generazione basate su fast breeder reactors raffreddati a sodio26 e di incrementare il combustibile MOX (presente in piccole quantità nel reattore 3 della centrale di Fukushima), un misto di uranio-plutonio che riutilizza l’uranio già sfruttato in un primo ciclo.
Come già accennato, lo tsunami dell’11 marzo ha causato lo spegnimento delle centrali di Fukushima I (6 reattori per un totale di 4.5 GW, di cui 3 attivi al momento del terremoto) e Fukushima II (4 reattori per un totale di 4.3 GW), facendo calare la produzione energetica di 6.2 GW e danneggiando irreparabilmente i reattori 1-4 per un to- tale di 2.7 GW.
Un’analisi della politica energetica giapponese e della gestione strategica delle centrali nucleari e delle industrie di preparazione, stoccaggio e riciclaggio del materiale mostra come il governo nipponico sia intenzionato ad incrementare la produzione di energia elettrica di origine nucleare non disdegnando però un notevole incremento e investimento in tutte le risorse rinnovabili.
Non è chiaro al momento se e come questo piano a lungo termine sarà modificato dall’incidente di Fukushima. Tuttavia nel medio termine è difficile pensare che il Giappone possa fare a meno delle centrali esistenti e possa quindi rinunciare a rimpiazzare i reattori persi a Fukushima con altri di nuova costruzione.
È plausibile ritenere che i reattori 5 e 6 di Fukushima I e la centrale di Fukushima II saranno riattivati. Sulla base del tempo richiesto per riattivare la centrale di Kashiwazaki-Kariwa, dopo il terremoto del 2007, e tenendo conto del deficit energetico in cui versa il Giappone si può stimare almeno un anno prima che si possa tornare a produrre energia elettrica nelle martoriate centrali di Fukushima I e II.
Sicurezza e incidenti
A detta della TEPCO l’intensità raggiunta dallo tsunami del marzo 2011 ha superato di gran lunga tutte le previsioni nei progetti della centrale. Le centrali ad acqua bollente hanno un problema intrinseco di sicurezza: hanno bisogno di elettricità per mantenere in funzione il sistema di raffreddamento.
Avere dei sistemi ridondanti di alimentazione ha senso solo se non sono tutti vulnerabili dallo stesso evento. Nel caso di Fukushima i generatori erano tutti posti dal lato mare e sono stati tutti allagati dall’eccezionale ondata. Infatti, il generatore d’emergenza dei reattori 5 e 6 e quelli della seconda centrale di Fukushima, protetti da una difesa maggiore, non sono stati danneggiati dall’acqua e hanno continuato a funzionare, salvaguardando l’integrità delle strutture.
D’altro canto, rapporti della IAEA e di altre agenzie internazionali hanno più volte lamentato in passato carenze nella sicurezza delle centrali nucleari nipponiche e la loro vulnerabilità ad eventi sismici di grande intensità.
Il 13 luglio 869 d.c. ci fu uno tsunami molto simile a quello del marzo 2011: il muro d’acqua spazzò le regioni di Fukushima e Miyaghi penetrando per 4 chilometri nell’entroterra. Nonostante i vari e ripetuti appelli di geologi e politici, la TEPCO non ha mai menzionato questo evento sismico nei suoi rapporti e nelle sue stime di rischio alla centrale, definendo la possibilità di onde alte decine di metri “impensabile”.
Il disastro di Fukushima è solo l’ultimo di una serie di incidenti e scandali che hanno gradualmente eroso la fiducia del pubblico giapponese nella trasparenza dell’industria nucleare e nella sua sicurezza.
Nel 1995 ci fu una perdita di sodio liquido nel reattore di Monju, un fast breeder reactor sulla costa ovest del Giappone.
Questo tipo di reattori usano una miscela di combustibile uranio-plutonio nel reattore (il MOX sopracitato) e sodio liquido al posto dell’acqua nel sistema di raffreddamento.
La perdita fu nel circuito indipendente, per cui non ci fu fuga di radioattività. Tuttavia le temperature di centinaia di gradi fusero varie strutture in acciaio causando gravi danni agli impianti. L’agenzia semigovernativa PNC (Power reactor and nuclear fuel development corporation) cercò di minimizzare l’accaduto, falsificando dati e rapporti, arrivando a censurare il video delle riprese dei danni.
Uno degli impiegati coinvolti nella falsificazione delle carte si suicidò quando la contraffazione venne alla luce. La moglie dello sfortunato impiegato – che con ogni probabilità aveva seguito ordini superiori nella falsificazione delle carte – non crede alla rico- struzione ufficiale e sta ancora cercando di ottenere giustizia in tribunale.
A seguito degli scandali, il contestato reattore, della potenza di 280 MW, è rientrato in funzione solo nel 2010.
Nel 1999, negli impianti di processamento dell’uranio a Tokaimura, a 100 km a nord di Tokyo, si verificò un incidente di criticità. A cau-sa della mancanza dell’addestramento e del mancato rispetto delle norme di sicurezza, gli impiegati versarono grandi quantità di nitrato di uranio in soluzione acquosa in una vasca per il processamento del materiale.
Proprio come Topolino nell’episodio L’apprendista stregone di Disney, l’aggiunta di un secchio di troppo, fece raggiungere la criticità all’uranio contenuto nella vasca. Si innescò quindi una reazione nucleare a catena autosostenentesi.
La reazione fu interrotta il giorno successivo facendo uscire una parte della letale miscela dalla vasca. I due lavoratori più esposti morirono a seguito delle enormi dosi assorbite (10 e 17 Sv), mentre un terzo, esposto a 3 Sv, riuscì a salvarsi.
Altri 600 dipendenti della JCO, la compagnia che gestiva l’impianto, furono esposti ad un’alta dose di radiazioni.
Nel 2002 venne alla luce che la TEPCO e le ditte ad essa collegate avevano falsificato i dati sull’analisi e presenza di crepe nel sistema del reattore. A seguito di questo scandalo, la TEPCO fu costretta a chiudere i suoi 17 reattori nel 2003 per condurre una serie di ispezioni accurate, perdendo complessivamente 1.9 miliardi di dollari in mancati guadagni.
Nel 2004, 4 lavoratori persero la vita a seguito delle ustioni riportate nella rottura di un tubo contenente acqua bollente nella centrale di Mihama, della KEPCO (Kansai electric power company). In questo caso, la causa del decesso non è da attribuirsi alla radiazione ma è comunque indice del non rispetto delle norme di sicurezza.
L’intreccio tra pubblico e privato è stato spesso citato come uno dei problemi alla base degli incidenti e delle falsificazioni di documenti che hanno interessato l’industria del nucleare (e non solo). È pratica comune per i funzionari governativi di un certo livello di farsi assumere – dopo la pensione – dalla TEPCO, la KEPCO e le altre ditte private su cui vigilavano quando erano dipendenti statali.
Per rompere questo circolo vizioso, i cittadini e le agenzie non governative ribadiscono da tempo la necessità di un istituto completamente indipendente che possa svolgere l’attività di collaudo, verifica e controllo dei siti nucleari.
Il tempo dirà se gli eventi di Fukushima saranno utili almeno in tal senso.
*Marco Casolino è un fisico, ricercatore dell’INFN e dell’Istituto Riken di Tokyo. Il libro Come sopravvivere alla radioattività è stato pubblicato da Cooper editore nel maggio 2011.