Speciale Fukushima – I fantasmi di Sendai

In by Simone

Sendai, vicinissima all’epicentro del sisma dell’11 marzo, è ormai una terra desolata. Resti di case, auto, campi: la furia dell’acqua ha divorato tutto. Un orizzonte spettrale da dove il movimento no nuke giapponese vuole ripartire con una manifestazione anti-Fukushima.
A Sendai c’è chi è morto per la seconda volta, un anno fa. Si tratta delle persone seppellite nel cimitero che si affacciava sulla spiaggia, proprio dietro l’aeroporto.

Ancora oggi c’è una coltre di tombe aperte a segnare percorsi sconquassati: l’acqua del mare – dopo che l’epicentro del terremoto è partito dal largo di Sendai l’11 marzo scorso – ha deciso di rincorrere per sei chilometri tutto: le persone, vive e morte, i palazzi, le terre coltivate a riso, oggi lasciate respirare in una putrida pozza di acqua salata, inutile.

C’è una sola casa, che qui chiamano l’abitazione fantasma, sfasciata ma ancora in piedi. Il secondo piano ammaccato manifesta l’ampiezza dell’onda, il resto, completamente distrutto, ne lascia intuire la forza.

Il paesaggio di fronte ad una spiaggia sulla quale si erge un tempio provvisorio, a ricordo di trecento persone ritrovate morte di fronte al mare, è un campo nel quale rintracciare segnali di vita famigliare: tazzine, piatte, giocattoli e masse di ferraglia, soprattutto auto, contrassegnate in colori diversi (per chi è morto, per chi non è stato trovato) ammassate in pose sgraziate, mentre gru continuano a portare detriti e materiale raccattato qua e là nella prefettura.

Dietro una curva, una barca, in fondo al rettilineo, altre auto: questa parte di Sendai non esiste più, a futura memoria. E questi, e tanti altri, sono i posti dei morti, sono la mappa di un paesaggio di cui restano solo le fondamenta fotografate nell’atto di uscire dalla terra.

Poi ci sono i vivi, quelli cui lo tsunami ha cambiato la vita, quelli la cui normalità è diventata una vita che normale non è. Yamashida, ad esempio, è colui che mi porta tra i campi dei rifugiati, sulla costa del nord del Giappone e tra le “madri di Fukushima” e quei rivoli della società civile giapponese che si sta muovendo: per sapere la verità, in generale, per organizzare la manifestazione di Fukushima dell’11 marzo.

In un’area di servizio a una trentina di chilometri da Fukushima, attiviamo la macchinetta per registrare il livello delle radiazioni: "Qui – spiega Yamashida – le radiazioni sono più alte di quanto il governo dica". Ha 60 anni, lui, è un ex cassiere di un Family Mart, uno dei numerosi convenience store in Giappone.

Era di Namie, uno dei paesini finito nell’area di evacuazione dopo lo tsunami che ha provocato l’allarme nucleare. Alla distruzione, infatti, si sommano ancora i rischi atomici. Yamashida ha perso il lavoro.

"Sono molto arrabbiato, soprattutto perché la Tepco, che è la responsabile di tutto questo, non ha minimamente aiutato nessuno. Hanno detto che avrebbero ricompensato, ma non abbiamo visto niente. Sono lenti, le procedure sono farraginose, ci vuole troppo tempo perché loro siano in grado di rispondere alle nostre esigenze".

Altra corsa in auto, altro campo di rifugiati. Entriamo nel piccolo appartamento del signor Mizma, 50 anni, ora impiegato in una società di costruzioni. Aveva la casa nella zona evacuata, una specie di piccola fattoria, nella quale accudiva le pecore. Appeso nel piccolo prefabbricato in cui ci riceve offrendo caffè e un succo d’uva c’è un quadro con la fotografia della sua vecchia vita.

"Ci sono stato un mese lì, anche dopo lo tsunami, poi mi hanno detto che dovevo andarmene. Vorrei tornare, dice, ma pare che ad ora sia impossibile e ci tocca vivere qui". Case prefabbricate, nel mezzo del nulla.

Non che ci si lamenti solo, anzi. E’ anche nata una rete, "le madri di Fukushima", preoccupate di salvaguardare la vita dei propri figli. Fanno incontri periodici per aggiornarsi sulla situazione radioattiva e sono al centro del network che sta organizzando la manifestazione per l’11 marzo. "No Fukushima", hanno scritto in giallo su felpe verdi.

"Tutto il popolo giapponese è contro il nucleare – spiega una di loro – ci siamo forse mai dimenticati del rapporto che abbiamo con il nucleare? Come si possono scordare due bombe atomiche? Il problema è che la politica non ha mai fatto passaggi democratici al riguardo, imponendoci qualcosa su cui non abbiamo diritto di esprimerci".

[Pubblicato sul Fatto Quotidiano il 13 marzo 2012] [Foto credit: pandainabattlesuit.com]