Un capodanno in sordina. Autoimmolazioni in crescita esponenziale e il marzo in arrivo. La situazione tibetana è sempre più complessa. E la comunità del Tibet propriamente detto sempre più lontana dagli esuli in terra indiana. Le interviste e le opinioni di Tsering Woeser, voce del popolo tibetano agli arresti domiciliari.
“In base al calendario tradizionale tibetano, oggi è il primo giorno dell’anno 2139, anno del dragone d’acqua nel ciclo rabqung. Il nuovo anno (Losar) andrebbe salutato e celebrato con animo pieno di gioia, tuttavia nell’ultimo anno si sono immolati così tanti fratelli di sangue e altrettanti sono caduti in disgrazia… La mia terra è sotto il controllo militare e ‘la paura dei tibetani si può sentire con mano’.
Per questo i tibetani non festeggiano il Losar, anche se c’è il Losar; e non avranno un Losar felice, ma un Losar di commemorazione.
Tuttavia il Partito non ammette che non ci sia il Losar. Il Partito ha chiesto ai tibetani di festeggiare il Losar. Al punto che hanno eretto due “chemar bo” in pietra di dimensioni spropositate, uno davanti al Potala e uno davanti al Jokhang, e sotto ai giganteschi “chemar bo” hanno riposto migliaia di fiori di seta in modo tale che formassero la scritta ‘Felice anno nuovo’”.
Con queste frasi la poetessa Woeser saluta sul suo blog in cinese il nuovo anno tradizionale tibetano. Dalla violenta repressione del 2008 il Tibet non ha trovato pace, le immolazioni compiante dalla scrittrice fanno riferimento ai gesti estremi di ventisei tibetani che dal 2009 a oggi hanno sacrificato le loro vite in segno di protesta.
A distanza di circa una settimana dalla pubblicazione di questo post, a Tsering Woeser è stato impedito di andare a ritirare un premio letterario. Il provvedimento sembra confermare l’annuale morsa che si stringe sul Paese delle nevi ogni marzo, mese in cui ricorrono gli anniversari delle principali rivolte che hanno colpito l’altopiano tibetano nella sua tormentata storia recente.
Caratteri cinesi vi propone un articolo che Tsering Woeser ha pubblicato sul suo blog nel novembre scorso, in cui affronta la dibattutissima questione del rapporto tra esuli tibetani e indiani. [MCr]
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[…] Di seguito riporto fedelmente la discussione con alcuni tibetani. Lobsang Wangdue ha scritto: «solo negli ultimi anni ho saputo dell’esistenza in India di alcune organizzazioni popolari a sostegno del Tibet; ho vissuto in India dieci anni e non ho amici indiani, anche per la maggior parte dei tibetani è lo stesso».Ho chiesto se fosse così perché l’India è troppo grande, o perché gli indiani sono troppi, perché sono diverse le religioni e diverse le culture. Mi ha risposto: «questa è una delle ragioni possibili, ma ritengo che i tibetani non si siano sforzati più di tanto per integrarsi. Da un altro punto di vista trovo che gli indiani siano difficili da trattare».
Zhaxi Jianzan ha manifestato il suo disaccordo dicendo: «non è difficile andare d’accordo con gli indiani, siamo solo noi che non ci sforziamo più di tanto per conoscerli, per cui la distanza da loro è aumentata».
Gendun Gyatso invece scriveva: «dal punto di vista di un tibetano comune la maggioranza degli indiani non si interessa ai tibetani. Di solito quegli indiani che vivono a contatto quotidiano con i tibetani ritengono che le condizioni economiche dei rifugiati tibetani siano già migliori di quegli indiani che ricevono un pezzo di terra dallo stato; per questo gli indiani non vedono e non riconoscono i benefici economici apportati dai tibetani in India.
In generale, gli indiani di fronte alla questione tibetana sono freddi; una persona qualunque potrebbe supporre che in paesi che hanno sofferto il colonialismo le questioni dei diritti umani e della libertà ricevano grande supporto e comprensione, invece è sconfortante sapere che paesi come India e Sud Africa non sono affatto così, forse perché hanno già troppi problemi di per sé e non hanno tempo di pensare ad altro».
Yushu Kgu si è dissociato da queste affermazioni: «va detto che il sostegno dato dagli indiani a noi tibetani ha surclassato di gran lunga quello dato dagli americani e dagli altri paesi. Non possiamo guardare solo alla situazione di oggi, ma dovremmo chiedere alle vecchie generazioni. E se oggi si è formata tra gli indiani un’antipatia nei nostri confronti, è dovuto anche all’atteggiamento stesso di noi tibetani, pensa solo a quanto accade a Dharamsala». […] [L’intero post è stato tradotto su Caratteri Cinesi da Mauro Crocenzi. Foto credits: aussiegirlinindia.com]
*Tsering Woeser è nata nel 1966 ed è poetessa e scrittrice. Figlia di un membro dell’Epl (per metà cinese e metà tibetano) e di una tibetana di estrazione aristocratica ha lasciato Lhasa da bambina per allontanarsi dalla Rivoluzione culturale. Tornerà solo all’inizio degli anni Novanta, maturando una visione maggiormente critica verso la propaganda di Partito.
Nei suoi scritti riesce nel difficile compito a dare voce dal cuore della Cina e in lingua cinese a una serie di denunce di violazioni e violenze che colpiscono la popolazione tibetana residente in Cina.