A Rangoon un gruppo di volontarie distribuisce fischietti alle donne che aspettano l’autobus. Una nuova campagna per combattere le continue molestie di cui sono vittime le donne birmane. Una pratica che può migliorare la condizione femminile nel Paese dei pavoni.
Un fischietto e un volantino contro le molestie sessuali sugli autobus. A Rangoon, ex capitale della Birmania, è appena partita una campagna per cercare di porre fine al problema degli abusi di cui sono vittime ogni giorno decine di donne che percorrono le strade della città a bordo dei mezzi pubblici.
Con un numero di abitanti che sfiora i 5 milioni, una densità residenziale di quasi 8mila persone per chilometro quadrato e un sistema stradale non esattamente all’avanguardia, Rangoon è oggi una delle metropoli più trafficate del Sud-Est Asiatico.
Un costo medio delle automobili che risulta proibitivo per le persone comuni e il divieto imposto dalle autorità di girare in bicicletta e motorino contribuiscono a rendere l’area urbana soggetta a una congestione cronica e obbligano di fatto la maggior parte dei residenti a muoversi utilizzando bus, pullman e navette.
Mezzi che, nella maggior parte dei casi, risalgono al periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale: sporchi, scomodi, rumorosi e soprattutto molto, molto sovraffollati.
Pressate come molle di un montacarichi, durante la giornata decine e decine di persone si accalcano in spazi studiati per ospitare al massimo un paio di dozzine di passeggeri, spingendo, schiacciando, comprimendo, senza troppo riguardo per nessuno.
In questo contesto, a rendere ancora più esasperante per le donne l’esperienza del mezzo pubblico, è l’ormai annoso problema delle molestie, di cui spesso si trovano a essere vittime durante gli spostamenti in città. Un malcostume che è andato diffondendosi sempre più negli ultimi tre decenni, sostenuto dal lassismo dimostrato dalle autorità nel perseguire i responsabili e dalla conseguente impunità che accompagna questo genere di vessazioni.
Per contrastare il fenomeno alcuni gruppi di volontarie di diverse associazioni per i diritti delle donne hanno avviato una campagna di sensibilizzazione che coinvolge 8 delle principali linee di bus dell’ex capitale.
Appostate agli angoli delle strade e alle fermate degli autobus, le attiviste hanno iniziato a distribuire opuscoli e depliant che spiegano alle donne come comportarsi nel caso ricevano attenzioni indesiderate, accompagnati da fischietti da utilizzare per “segnalare” immediatamente ogni tipo di violenza, fisica o verbale.
L’iniziativa è stata chiamata “Un fischio per avere aiuto”: il suo presupposto, infatti, è che per riuscire a sradicare definitivamente questo problema sia necessario non solo l’impegno delle donne, ma anche un intervento attivo da parte degli uomini, chiamati in primo luogo a tenere un comportamento corretto e rispettoso e a prestare inoltre sostegno e soccorso alle vittime o potenziali vittime di molestie.
"Per piacere, andate in aiuto delle donne che usano questo fischietto e date il vostro contributo per fermare questi inaccettabili comportamenti", si legge nei volantini distribuiti in città. "La nostra non è una campagna contro gli uomini, ma contro coloro che si rendono responsabili di abusi e maltrattamenti".
Lanciata da pochi giorni, l’iniziativa ha già ricevuto il plauso di molte organizzazioni e associazioni che si battono per la parità di genere e il rispetto dei diritti umani, ottenendo pagine di elogio sulla stampa locale e una buona accoglienza anche da parte della cittadinanza. Alcune linee di pullman, come la Parami e la Adipani, hanno addirittura avviato un servizio di navette riservate esclusivamente alle donne.
"Il nostro Paese è famoso per il Buddismo Theravada e il suo relativismo culturale", ha spiegato daw Htar Htar (daw è un appellativo più o meno equivalente a lady) ai giornalisti del Myanmar Times. Htar Htar è una delle promotrici della mobilitazione.
"Purtroppo però esistono anche questo tipo di comportamenti vergognosi. Si tratta di un malcostume che nessuno deve più tollerare e che deve cessare immediatamente. Fortunatamente vediamo che molti si stanno impegnando in questa direzione".
Tra gli entusiasti non mancano gli uomini, come U Tun Aung, autista di bus che ha preso molto seriamente la campagna in corso. Ogni giorno, alla fine del turno di lavoro, U Tan Aung si reca con il suo pullman nei villaggi intorno alla città, distribuendo fischietti e volantini agli abitanti per cercare di coinvolgere il maggior numero di persone nell’iniziativa e di allargarla anche al di fuori di Rangoon.
Come sottolineato dalle volontarie coinvolte nella campagna, non è facile esprimere un giudizio univoco sulla condizione attuale delle donne in Birmania.
La cultura tradizionale del Paese le considera su un piano di assoluta parità rispetto agli uomini, riconoscendo loro gli stessi diritti civili e politici della controparte maschile. Esemplare è in questo senso il caso di daw Aung San Suu Kyi: la storica paladina dei diritti, vincitrice del premio Nobel per la pace e leader della Lega nazionale per la democrazia, principale partito di opposizione, è oggi la figura centrale della scena politica birmana, esempio e modello in cui si riconoscono non solo le donne, ma anche milioni di uomini che chiedono da decenni riforme democratiche e la fine della dittatura militare.
E il suo non è certo un caso isolato, come dimostra Charm Tong, la giovane insegnante che ha legato indissolubilmente il suo nome alla lotta contro i soprusi e le vessazioni di cui sono vittime le minoranze del Paese.
Da questo punto di vista, se paragonata con quella che si vive nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo e nel resto del Sud-Est Asiatico, la situazione delle donne birmane è certamente da considerarsi privilegiata.
Basti pensare che la maggior parte delle cattedre universitarie sono affidate a professoresse, e che per una sposa ottenere il divorzio, almeno sulla carta, è tanto facile quanto lo è per un uomo, visto che la legge prevede che durante il matrimonio ciascuna delle parti conservi la proprietà esclusiva dei suoi beni e che al termine quanto acquistato durante l’unione venga spartito a metà.
A fronte dei molti diritti riconosciuti a livello teorico, però, anche le donne birmane sono di fatto oggetto di discriminazioni, maltrattamenti e violenze. Problemi che sono andati progressivamente aumentando da quando la giunta militare ha preso il potere, come testimoniano non solo le numerose denunce lanciate dai vari comitati e gruppi locali per i diritti delle donne, ma anche i più recenti rapporti del comitato operativo della Cedaw (la Convenzione delle Nazioni unite per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna), cui il Paese ha aderito nel 1997.
Con l’arrivo dei generali, l’elevata considerazione di cui le donne avevano da sempre goduto nella società, nella politica e nel mondo del lavoro è andata rapidamente scemando, fino ad arrivare alla nuova costituzione approvata nel 2008, che, dopo aver stabilito nel capitolo 8 il divieto di qualsiasi tipo di discriminazione su base sessuale, specifica che "nulla di quanto riportato in questa sezione può impedire la nomina di uomini per incarichi che sono per natura adatti a loro in via esclusiva".
Sempre la carta fondamentale assegna ai militari il 25 per cento dei seggi in parlamento, senza prevedere invece alcuna misura, anche solo temporanea, volta a realizzare una maggiore parità di genere e a favorire una più ampia partecipazione delle donne, spesso indicate solo come "madri" nel testo, alla vita politica del Paese.
Recentemente Human rights watch è tornata ad accusare apertamente il regime birmano di utilizzare la violenza sessuale come un’arma impiegata dai soldati contro le minoranze etniche negli stati Kachin, Shan e Karen. Una pratica denunciata anche da un documentario realizzato dalla Women’s League of Burma (WLB) e intitolato “Garantire giustizia alle donne”, che offre una puntuale ricostruzione di 18 casi di sevizie avvenuti nel corso dell’anno passato.
In questo contesto la campagna contro le molestie sessuali sugli autobus avviata a Rangoon rappresenta un indubbio passo avanti nella lotta contro la violenza sulle donne. Una battaglia che le donne birmane hanno scelto di combattere in modo pacifico ma estremamente determinato, rifacendosi a quel modello di “guerra senza armi” che Aung San Suu Kyi combatte da anni contro il regime dei generali.
[Foto credit: nomadruss.photoshelter.com]* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.