Si contano i voti nelle elezioni locali in cinque stati indiani, con attenzione particolare per l’Uttar Pradesh. I "piccoli" stravincono in UP, lasciando BJP e Congress a bocca asciutta. Preludio di una tornata elettorale nazionale del 2014 targata "local".
Dopo giorni di proiezioni ed exit poll conditi da dichiarazioni al vetriolo, oggi in India è il giorno dello spoglio per gli stati di Uttar Pradesh, Uttarakhand, Manipur, Punjab e Goa, dove nell’ultimo mese si è votato per le elezioni locali.
In serata si avranno i risultati precisi, ma già dalle prime ore del pomeriggio è parso chiaro quali coalizioni politiche formeranno i governi locali dei cinque stati.
Il dato più atteso era quello dell’Uttar Pradesh, stato settentrionale che con oltre 200 milioni di abitanti determina un peso specifico notevole negli assetti della politica nazionale. In UP erano in palio ben 403 seggi.
Guidato per un mandato dal partito dei dalit (senza casta), il Bahujan Samaj Party (BSP) di Mayawati – della quale avevamo raccontato l’eccentrica storia qui – con ogni probabilità da domani sarà governato in solitaria dai socialisti del Samajwadi Party (SP), che ha più che raddoppiato i seggi conquistati durante le scorse elezioni: nel 2007 si era fermato a 96 seggi, ora rischia di prenderne più di 200, eventualità che permetterebbe di formare un governo in UP senza l’appoggio dell’Indian Congress Party (INC, partito di centrosinistra guidato da Sonia Gandhi).
Il SP aveva già governato lo stato dell’Uttar Pradesh in passato: Mulayam Singh Yadav, 72 enne fondatore e presidente del SP, era stato chief minister dell’UP tre volte (1989, 1993, 2002); ora toccherà a suo figlio, Akhilet Singh Yadav, seguire le orme del padre, grazie ad una vittoria schiacciante conquistata col voto delle “Other Backward Class”, gli strati più umili del sistema castale indiano – Yadav posto dopo il cognome indica l’appartenenza alla casta legata alla pastorizia – e delle elité musulmane e bramine, che in contrasto col 2007 hanno voltato le spalle a Mayawati.
Il giovane Akhilet, onde evitare polemiche, ha già spiegato che non ha intenzione di demolire le centinaia di statue che Mayawati ha fatto costruire in giro per l’Uttar Pradesh a sua immagine e somiglianza. Resteranno lì dove sono.
La "regina dei dalit" è il grande sconfitto di queste elezioni: il BSP dovrebbe aggiudicarsi quasi 100 seggi, la metà dell’anno scorso. Al terzo e quarto posto troviamo i due grandi partiti della politica indiana, Indian Congress e Bharatiya Janata Party (BJP, partito conservatore hindu), a raccogliere le briciole lasciate dai due partiti locali.
Se per il BJP si può parlare di sconfitta annunciata, l’INC contava invece di invertire la tendenza piazzandosi almeno come secondo partito nello stato: un segnale che avrebbe ridato fiato alla contestatissima amministrazione Singh e per il quale il Congress aveva deciso di mandare Rahul Gandhi in persona a fare campagna elettorale sul territorio.
Si dovrà invece accontentare di una ventina di seggi in più rispetto al 2007, un magro bottino che in queste ore viene giustificato dai capi dell’INC con la “mancanza di quadri del Congress di rilievo in UP”, nonostante “Rahul Gandhi abbia creato un’atmosfera favorevole durante la sua campagna elettorale”.
Il Congress spera quindi che il SP non raggiunga quota 200 seggi, guadagnando peso politico nell’eventuale gioco delle alleanze.
Anche in Punjab il Congress ha registrato una battuta d’arresto inaspettata: solo 43 seggi su 107, relegato a terzo partito nello stato che per la prima volta verrà guidato da una coalizione formata dal Shiromani Akali Dal (SAD, partito dei sikh) e dal BJP, che anche a Goa ha sbaragliato tutti ottenendo la maggioranza.
Nel testa a testa tra BJP e INC in Uttarakhand, dovrebbe spuntarla il partito di Sonia Gandhi, mentre in Manipur, nonostante la campagna elettorale turbolenta a causa dei moti indipendentisti dei tribali Naga – che vogliono formare un nuovo stato tutto loro, il Nagaland – il Congress è stato riconfermato al potere per il terzo mandato consecutivo.
Guardando alle elezioni nazionali del 2014, si può dire che il Congress non sia ancora riuscito ad invertire la rotta: il partito di maggioranza al governo gode di pochissima stima sulla gran parte del territorio indiano a causa di continui coinvolgimenti in affari loschi di corruzione ed abuso di potere, senza contare la crisi economica che ha investito il Paese e contro la quale l’amministrazione Singh non è stata in grado di rispondere adeguatamente.
Dopo l’enorme sciopero del 28 febbraio, anche le urne confermano il disamore indiano per l’INC. Ma anche il BJP, principale partito di opposizione, non ha di che gioire: la sua serrata campagna anti-Congress degli ultimi anni, per assurdo, sembra aver subito il contraccolpo della stagione di proteste di Anna Hazare. Contestazioni di massa che però non si sono tradotte in voti al partito conservatore, bensì hanno favorito partiti politici locali come il SP in Uttar Pradesh o il SAD in Punjab.
Sono loro, i piccoli partiti, i grandi vincitori di questa tornata elettorale: formazioni politiche radicate nel territorio ed abili ad intercettare gli umori di una popolazione sempre più disillusa dai grossi partiti tradizionali, considerati generalmente come una massa di ladri arricchitisi alle spalle del popolo.
Sempre più importanti a livello locale, si preparano a dettare l’agenda anche a Delhi, esercitando spinte politiche “locali” e, di fatto, obbligando la macchinosa e letargica democrazia indiana ad un continuo ed estenuante gioco dei compromessi e degli equilibri.
[Foto: supporter del Samajwadi Party vesteggiano in Uttar Pradesh. Credit: firstpost.com]