Lodato da Barack Obama e Spike Lee, dipinto sui muri della Grande Mela e sulle etichette degli yogurt, la fama di Lin cresce a livelli esponenziali. Con effetti collaterali per la famiglia a Taiwan.
Finché vince se ne parla, e probabilmente si continuerà anche quando i New York Knicks inizieranno a perdere. Jeremy Lin ormai trascende la notorietà prettamente sportiva ed è stato catapultato nel calderone della cultura di massa globalizzata.
Ne ha parlato bene anche Barack Obama, che oltre a fare il presidente degli Stati Uniti è un esperto di pallacanestro, famoso in patria per le sue previsioni sportive del campionato universitario NCAA ( ci becca pure, spesso).
In un’intervista televisiva su ESPN ha spiegato di essere venuto a conoscenza delle doti di Jeremy Lin prima di molti, essendogli stata segnalata questa “guardia incredibile” da Arne Duncan, segretario all’Educazione dell’amministrazione Obama ed ex capitano della squadra di basket di Harvard, dove Lin giocava.
Ma quando nel parterre del Madison Square Garden di New York si vede uno scalmanato Spike Lee sbracciarsi a bordo campo con una canotta della Palo Alto High School di Lin, allora occorre alzare le mani: il salto è compiuto, il 23enne di origini taiwanesi è molto di più di una Cenerentola del basket NBA.
Alcune cifre possono aiutarci a capire la portata dell’evento: il sito web dei New York Knicks, dal 4 febbraio – quando Lin ha iniziato a giocare come sa fare, e la squadra di New York a vincere – ha registrato un +770% di accessi, mentre le vendite online del merchandising della squadra, che ora comprende 50 prodotti targati Lin, sono cresciute del 4000%.
Fiutando il profumo dei soldi avvicinarsi man mano che le prestazioni sul campo del numero 17 si facevano sempre più consistenti, c’è chi ha pensato di organizzarsi per sfruttare il marchio o, come dicono gli alti dirigenti NBA, “capitalizzare l’ascesa di Lin”.
C’è la signora del Jiangsu che ha registrato Lin Shuhao ( 林书豪), il nome di Lin in cinese, oppure Yenchin Chang, cittadino californiano di origini taiwanesi, che il 15 febbraio ha bloccato al registro brevetti il termine “Linsanity”, dice lui per “partecipare alla gioia collettiva” del successo del conterraneo.
Al di là della speculazione finanziaria sulle giocate della star di Palo Alto, il caso Linsanity non è stato eccessivamente manipolato dalla propaganda cinese – troppo difficile appropriarsi dei meriti di un cittadino americano cristiano di origini taiwanesi – ma ha aggiunto invece un paio di frecce avvelenate alla faretra del soft power americano.
“Jeremy Lin è il prodotto del sogno americano, non cinese”. “Lin rappresenta tutto ciò che il sistema sportivo cinese non è in grado di produrre”. Battibecchi tra superpotenze, normale amministrazione, ma la Repubblica popolare non può – e non vuole – fare buon viso a cattivo gioco.
Ed è passata al contrattacco.
David Kang Tin, giornalista cinese residente negli Stati Uniti, il 27 febbraio in un editoriale sul China Daily rimbrotta gli opinionisti americani, rei di sfruttare l’effetto Lin per muovere pesanti critiche al sistema sportivo cinese.
Pur ammettendo che la cultura dello sport in Cina sia interamente declinata al medagliere olimpico, a forgiare il Campione del Mondo per la Madrepatria, Kang lamenta l’occasione persa di esaltare la determinazione dell’atleta ed elevarlo ad esempio per i giovani sportivi di tutto il globo, al posto che utilizzarlo come oggetto contundente contro lo sport cinese tout court.
Pochi giorni prima un articolo dello stesso tenore era apparso sul Global Times, cercando di abbassare i toni e disinnescare la bomba Cina vs. Taiwan sulla paternità genetica di Lin, ma l’aplomb del quotidiano cinese in lingua inglese ha dovuto capitolare già il 22 febbraio.
Lin continuava a vincere e la redazione del Global Times non ha saputo resistere: pezzo collage sulle reazioni di giovani cestisti dello Zhejiang sull’umiltà di Lin e titolone cubitale “Jeremy Lin prende lo scettro di Yao Ming”.
Tu chiamala, se vuoi, appropriazione indebita.
Mentre da un lato del pacifico un writer di origini sudamericane dipinge un murales dedicato a Lin su una serranda dell’East Village di New York e la catena di yogurt Ben & Jerry è costretta a scusarsi pubblicamente per aver chiamato Linsanity un loro prodotto al gusto di “Fortune cookie” – vaniglia e miele di licis, per la cronaca – offendendo la comunità asiatica americana e il suo rinnovato orgoglio, nell’isola di Taiwan per i parenti della guardia dei Knicks il paradiso della fama del nipotino si sta trasformando in un inferno.
Avidi di curiosità e notizie private sul nuovo “Idolo di Taiwan”, i media di Taipei stanno rendendo la vita impossibile a nonni e zii di Jeremy, tanto che lo stesso Lin durante una conferenza stampa ha pregato i giornalisti taiwanesi di “lasciare un po’ in pace i miei parenti, che ormai non possono nemmeno andare a lavoro o uscire di casa senza essere bombardati di domande, senza essere seguiti”.
La nonna 85enne di Lin, ad esempio, è stata costretta a lasciare Taipei e trasferirsi in un villaggio al centro dell’ex isola di Formosa, nella disperata ricerca di privacy. Lo zio invece dice di essere ormai barricato in casa, nel terrore di essere assalito dai microfoni delle stazioni locali e di dover rispondere a domande come “Qual è il suo snack taiwanese preferito? Gli piacciono le ragazze taiwanesi? Di che partito politico è? Quanto sono importanti per lui le sue radici taiwanesi”.
Famiglia allargata Lin, benvenuta nel mondo delle star.