Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
11 marzo 2010, 16:05
Lo strano caso del manzo di Kobe (parte II)
Vari tentativi e infine riusciamo ad ottenere un’intervista con Zaia, per presentargli la questione del manzo di Kobe.
Arriviamo al ministero e ci fanno attendere. Mentre aspettiamo gli chiedo: “Do you have in Japan the concept of anticamera?”
“Of course! You have to think that our system is based on your so even our buildings have the same structure…”
“No, no, I didn’t mean the real room, but the concept…”
“What’s that?”
Così provo a riassumere in poche parole l’italianissimo concetto di “fare l’anticamera” e gli domando se in Giappone è lo stesso. “In realtà”, dice lui, “In Giappone più sei importante più devi essere puntuale”. Come da noi.
A onor del vero, comunque, Zaia non ci fa fare molta anticamera. Ha i modi gioviali e spicci, una stretta di mano vigorosa, è ruspante e diretto, non mi riesce a stare antipatico. Entriamo e lui discute col portavoce di non so quali belle idee da raccogliere dal suo Facebook (come una Banca per soli veneti…). Poi ci dà la sua attenzione e quando gli mostriamo varie documentazioni (tra cui la famosa foto ottenuta dopo la gita dal macellaio), non ha esitazioni: “Faremo dei controlli: è tutto illegale”.
Stiamo a vedere.
11 marzo 2010, 16:08
Allo specchio
Un gruppo di giapponesi si incontra per una cena in un ristorante giapponese di Roma. Parlano, e litigano piuttosto animatamente, sulla questione del giorno: la figlia della principessa Masako vittima di bullismo. Uno di loro se la prende con la famiglia imperiale, non ha senso che esista ancora un’istituzione come questa, dice. Gli altri reagiscono con una discreta indignazione.
Con qualche ora di fuso di differenza, immagino una scena speculare in Giappone: un gruppo di italiani che si ritrovano a cena (in un ristorante italiano? Forse) a Tokyo. Di cosa si parla? Dell’ultima, incomprensibile, delirante vicenda che arriva dall’Italia: la questione delle liste. Mi immagino qualcuno che cerca di difendere un seppur minimo senso di rispetto delle regole e qualcun altro che si accalora e se la prende con il magistrato che ha il Che in ufficio.
Ma forse mi sbaglio.
Forse è impossibile che italiani, seppur all’estero, con idee e fedi politiche diverse si ritrovino a cena (se non per dovere). E, soprattutto, forse quegli italiani a Tokyo, dell’una e dell’altra parte, stanno solo brindando, felici di non essere più in questo paese pasticcione.
11 marzo 2010, 16:46
Que sera, sera
Si sa già il nome del prossimo corrispondente. E piano piano lui comincia a denigrarlo. La prima cosa che mi ha detto è stata: “If he’s the guy I remember, he shouldn’t be an asshole”, poi lo ha risentito al telefono e lo ha trovato pedante e fastidioso come un burocrate. Oggi ha ricevuto una mail in cui quello gli chiedeva: “Che libri devo leggere sull’Italia prima di partire?”. Il suo commento è stato: “Se ha almeno un briciolo di cervello, dovrebbe trovarseli da solo i libri da leggere”.
Non posso dargli torto. E comincio a temere.
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)