Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
8 marzo 2010, 16:41
Come trasformare il proprio capo in un punching ball
Ingredienti:
– 4 anni in Italia
– nessuna vacanza, mai
– repentini cambiamenti di clima
Trasformare il proprio capo in un punching ball richiede una certa dose di esperienza e – va ammesso per amore di verità – anche una certa dose di casualità. Comunque sia, prendete un giapponese di mezza età, dedito al lavoro anche suo malgrado, trapiantatelo in Italia, coccolatelo con cibo e vino di qualità medio-alta, ma sottoponetelo a costante stress (sempre tenendo presente che la nozione di stress è altamente suscettibile a variazioni di contenuto a seconda della longitudine e della cultura di origine e dunque il ritardo a un appuntamento o la lungaggine di un pagamento o l’inefficienza di un servizio, poniamo, della banca, può diventare fonte di piccolo, grande o grandissimo stress in relazione al destinatario).
Cuocetelo a puntino fin a quando i suoi muscoli si irrigidiranno, eppure lui si ostinerà ancora a non prendersi le vacanze che pure gli spetterebbero di diritto. Lasciatelo allora perdere. La natura, con i suoi improvvisi cambi d’umore, aggiungerà il tocco finale.
Una mattina ve lo ritroverete arrivare in ufficio con la schiena piegata e con una smorfia di sofferenza dipinta in fronte.
Potrete farvi prendere allora da senso di partecipazione del suo dolore e chiedere: Come posso aiutarti? A quel punto, avrete raggiunto il vostro obiettivo. Lui vi si metterà davanti, dandovi la schiena, e vi implorerà di prenderlo a pugni in determinati punti che vi indicherà. Potrete infine sfogare la rabbia repressa nel corso degli anni e senza doverla mascherare troppo: gli state facendo una cortesia!
8 marzo 2010, 16:55
Come trasformare una cavia da laboratorio in un giornalista
L’argomento è già abusato, dunque non mi dilungherò, per di più più non posso dare ricette visto che la vittima non sono altro che io stessa e il demiurgo sempre lui, sempre il solito.
Oggi però ha per la prima volta utilizzato questa esaltante metafora per descrivere il suo “lavoro” su di me in questi tre anni. Il tono doveva essere lusinghiero, ma sentirsi dire che fino a poco tempo fa eri “like a mouse in the lab” fa comunque un certo effetto.
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)