Modellare il conflitto. Giocare a weiqi nel Pacifico

In by Simone

Come in una partita a weiqi, la tradizione militare orientale preferisce una strategia complessa alla semplice forza bruta. L’analisi del duello Usa-Cina nel Pacifico e del perché la strategia orientale risulta vincente.
Nell’antico gioco cinese del weiqi* (meglio conosciuto in Occidente con il nome giapponese di go) i giocatori si alternano a piazzare pedine su una griglia molto simile a una scacchiera.

In questo gioco le pedine avversarie non sono “mangiate” come a scacchi, bensì vengono eliminate quando sono circondate, ovvero quando hanno perso ogni “libertà” di movimento.

L’opportuno piazzamento delle pedine diventa così fondamentale per difendere il proprio territorio e conquistare quello avversario. È una buona metafora per descrivere la dinamica geopolitica in atto nell’Oceano Indiano e Pacifico tra Usa e Cina

Se osserviamo gli eventi di quest’ultimo anno nel Pacifico dal Mar Cinese Meridionale all’Oceano pacifico meridionale al Mar del Giappone, si ha l’impressione di essere proprio in mezzo a una partita di weiqi di dimensioni colossali, che si svolge principalmente tra gli USA e la Cina.

Il recente tour del Pacifico da parte del Presidente Obama mostra come Washington si sia accorta che la scacchiera del Pacifico sia diventata un teatro di operazioni tra i più rilevanti e, come sempre più spesso si prevede tra gli analisti, possa risultare sempre più fondamentale per gli equilibri globali.

Ne è una prova la recente creazione di una nuova base di duemila marines e mezzi annessi a Darwin, in Australia, piccola pedina che fa parte di un confronto fatto di mosse e contromosse che caratterizzeranno la probabile strategia USA in questa regione del globo nel 2012 e oltre.

Tutto parte da una semplice considerazione: con gli USA sostanzialmente padroni del Pacifico nello scorso decennio, finora non esisteva da parte loro alcun desiderio di modificare uno status quo che contribuiva a mantenere quell’area una delle meno conflittuali del pianeta.

In particolare, la valutazione della minaccia delle forze armate cinesi come ancora incapaci di un confronto diretto ha fatto sempre pensare a Washington che non ci fosse alcun rischio oltre la fascia Taiwan-Mar Cinese Meridionale; proprio qui difatti erano concentrate le attenzioni Usa.

Tale percezione si è mostrata sbagliata nel momento in cui la Cina ha piazzato le sue prime pedine. Strategicamente cosa significa? E perché il paragone con il weiqi?

Teniamo conto che al giorno d’oggi un conflitto può essere vinto prima ancora di essere combattuto semplicemente convincendo l’avversario che la nostra posizione è migliore e dunque una guerra aperta avrebbe conseguenze negative.

Ciò è ancora più vero se si considera la generale riluttanza delle opinioni pubbliche (e di molti leader) ad approvare conflitti al di fuori dei confini nazionali senza chiari segni di probabile successo.

Come nel weiqi dunque ciò che conta è posizionare al meglio le proprie pedine per togliere spazi e libertà di manovra agli altri attori internazionali, di fatto eliminandoli come rilevanza.

E’ proprio questo gioco di mosse e contromosse che guida la strategia Usa in quest’area. La Cina ha giocato varie pedine, come il forte programma di ammodernamento delle forze armate, la politica di avvicinamento al Laos e al Myanmar e la rivendicazione delle risorse nelle acque delle isole Spratly; a queste Washington ha risposto con una strategia contenitiva di intese e accordi con Vietnam e Filippine.

E’ qui però che le pedine cinesi hanno iniziato a essere posizionate in maniera più audace: dalla formulazione di accordi per basi nell’Oceano Indiano alle sovvenzioni alle Fiji e all’interesse generale per il Sopac, lo scacchiere Sud Pacifico che è stato teatro di gran parte dell’azione nella II Guerra Mondiale e le cui risorse naturali sono ora ambite da tutti.

La tradizionale linea di difesa Usa è stata infatti bypassata grazie a una strategia lenta che ha portato la proiezione dell’influenza cinese molto al di là dei confini della proiezione militare.

Nessun gesto di conflitto, eppure, forse sembrerà strano a dirsi, ora gli Usa si trovano strategicamente sulla difensiva, costretti a rispondere alle mosse altrui, a reagire piuttosto che ad imporre il proprio gioco.

Proprio tale reazione ha portato alla costituzione della base (che servirà da centro logistico e di appoggio dei marines) a Darwin), passo che a sua volta indica l’intenzione di una maggiore cooperazione con l’Australia, una delle maggiori potenze locali.

Bisogna comprendere che in un contesto come quello del Pacifico, dove sono le distanze marine a modellare un conflitto, è l’accurato posizionamento delle basi e dei punti di appoggio (propri o di alleati) che fa la differenza.

Nella II guerra mondiale i confini, seppur sparsi su migliaia di chilometri e miglia nautiche, erano regolari e portavano a una guerra definita dal concetto di “island hopping”, ovvero di conquistare terreno saltando successivamente da isola a isola.

Tuttavia un ammiraglio Usa o australiano che si vada a ristudiare i resoconti di allora – per quanto utili per comprendere alcuni concetti base – non dovrà farci troppo affidamento perché le capacità di movimento navali e aeree odierne sono considerevolmente maggiori e la penetrazione diplomatica è in tempo di pace molto più efficace per conquistare terreno.

Facciamo un esempio pratico: la creazione del “filo di perle”, le basi navali nell’Oceano Indiano (tra cui una preannunciata alle Maldive, che hanno estremo bisogno dei soldi di Pechino), permetterà alla flotta cinese di potersi spostare e sostare in quella zona senza alcun bisogno di un conflitto.

Tuttavia la loro presenza, che si preannuncia sul lungo periodo sempre più consistente, avrà l’effetto di spostare gli equilibri geostrategici della zona: pensate infatti che gli Usa possiedono principalmente la base di Diego Garcia e che questa si troverebbe di fatto circondata e quasi isolata.

Per mantenerla, Washington dovrebbe a sua volta aumentare le forze in zona e mantenerle bloccate lì, ma se la pressione cinese dovesse aumentare (grazie ad altri accordi, magari ottenendo anche una situazione di neutralità indiana) allora mantenere la sicurezza di Diego Garcia potrebbe diventare troppo complesso.

E Washington dovrebbe rispondere con altre mosse, piazzando altre pedine difensivamente per proteggere Diego Garcia o offensivamente altrove per minacciare gli interessi cinesi altrove e costringere l’avversario a spostare altrove la pressione.

Chi cede per primo, ovvero chi non riesce a rispondere adeguatamente alle mosse avversarie, rischia di perdere terreno.

Va da sé che la strategia Usa nel Pacifico deve per forza prevedere anche la necessità di riprendere l’iniziativa strategica, ovvero di riuscire a ribaltare la situazione e obbligare Pechino ad essere lei a reagire alle proprie mosse.

In alternativa, gli Usa continueranno a rincorrere, col rischio di trovarsi prima o poi troppo indietro soprattutto sul campo diplomatico e degli accordi economici.

Analoghi discorsi possono essere fatti per il Mar Cinese Meridionale e il Sud Pacifico. Il tutto non ha alcun bisogno di conflitto aperto, ma semplicemente coinvolge l’accurato piazzamento di pedine attorno agli obiettivi: chi riesce a togliere ogni “libertà” all’avversario può eliminarlo (nel senso di togliergli il controllo), come in una partita di weiqi.

Si tratta evidentemente di una sfida sul lungo termine, che vede impegnata una strategia lenta e costante e mosse che potrebbero dare i propri frutti solo tra anni.

Soprattutto non vanno attese fughe precipitose da posizioni ritenute rischiose, perché questo comporta notevoli perdite di faccia diplomatiche. Non pensiamo che non sia possibile per la Cina una tale condotta: in Oriente le partite di weiqi durano anche giorni interi… e il gioco è praticato da più di 2500 anni. Di esperienza ne hanno da vendere e, per una volta, sarà l’Occidente a dover imparare le nuove regole.

* Il gioco cinese del weiqi non è solo un gioco, bensì anche una simulazione astratta della guerra. Le sue regole sono molto semplici, tuttavia la profondità del gioco è immensa date le numerosissime strategie impiegabili. Per tali motivi consente di imparare e mettere in pratica concetti basi dell’arte militare come difesa, attacco, finte, ecc… Anche altri giochi come la dama e gli scacchi consentono simili analogie, tuttavia il weiqi rispecchia maggiormente la filosofia guerriera e militare cinese. In Occidente è conosciuto maggiormente con il suo nome giapponese di go.

Quello che intendiamo mostrare con questa analisi è come le varie mosse cinesi in giro per il mondo non vadano viste l’una separata dalle altre, ma tutte come parte di un’unica strategia complessiva che semplicemente vede una vastità e profondità di visione alla quale la nostra cultura occidentale non è abituata, preferendo soluzioni rapide e decisive rispetto invece a progressi lenti, costanti e proiettati nel lungo periodo.

In particolare, è bene notare come la tradizione militare occidentale abbia da sempre visto la ricerca dello scontro diretto e decisivo per terminare un conflitto rapidamente, mentre la tradizione militare orientale (dal medio all’estremo oriente) preferisca invece una strategia più complessa che riduca lo scontro diretto impiegando una maggiore diversità di mezzi rispetto alla semplice forza bruta e prevedendo tempi di risoluzione più lunghi.

[Questo articolo è apparso sul Caffè geopolitico, associazione culturale e rivista online di politica internazionale. Foto credit: kippslane.blogspot.com]