L’India è il terzo paese per emissioni di gas serra dopo Stati Uniti e Cina e propone di colmare la distanza tra i paesi del primo mondo e quelli in via di sviluppo attraverso la proprietà intellettuale universale delle tecnologie ecosostenibili.
Nelle scorse settimane, a più riprese, i rappresentanti del governo indiano hanno lanciato messaggi alle altre nazioni presenti al meeting, Cina e Stati Uniti su tutti, palesando alcuni punti focali sui quali si concentrerà la diplomazia indiana nel meeting di Durban.
Jayanthi Natarajan, ministro dell’Ambiente indiano, il 17 novembre ha sollevato durante un briefing con la stampa la questione del trasferimento di tecnologie ecosostenibili dai paesi sviluppati ai paesi in via di sviluppo.
Secondo l’India – in accordo col resto dei paesi in via di sviluppo come Cina, Brasile, Sudafrica – l’attuale regime di proprietà intellettuale legato alle tecnologie verdi non permette ai paesi in via di sviluppo di accedere alle tecnologie più all’avanguardia sviluppate nei paesi del primo mondo, creando di fatto una barriera al raggiungimento degli obiettivi di diminuzione dei gas serra.
Il problema della proprietà intellettuale, ricorda il ministro indiano, non è stato affrontato sufficientemente durante lo scorso meeting di Cancun: l’obiettivo dell’India è quindi rimetterlo sul tavolo delle trattative proprio a Durban, proponendo una sorta di “proprietà intellettuale globale”, slegando quindi la paternità delle tecnologie dai paesi sviluppati, rendendole disponibili a prezzi ragionevoli per i paesi in via di sviluppo.
Mentre l’Unione Europea, secondo le indiscrezioni, spingerà per iniziare a discutere di un “nuovo accordo” che superi il protocollo di Kyoto, l’India – assieme a Cina e Brasile – insiste invece nel proseguire secondo i consensi raggiunti prima a Bali (2007) e poi a Cancun (2010).
Si ricorda infatti che India e Cina hanno già volontariamente contribuito a ridurre le proprie emissioni anche se – pur avendo ratificato il protocollo di Kyoto – non erano obbligate da alcun vincolo legale ad agire in questo senso.
“Ora – ha spiegato il ministro Natarajan – tocca ai Paesi sviluppati. I BASIC (Brasile, Sudafrica, India, e Cina) hanno già fatto più del necessario”, adottando il principio di trasparenza riguardo i dati sulla riduzione delle emissioni nazionali accogliendo organi internazionali di consultazione ed analisi.
Secondo Zeenews l’India, terzo paese per emissioni di gas serra dopo Stati Uniti e Cina, ha volontariamente scelto di ridurre le proprie emissioni (partendo dai dati del 2005) del 20-25 per cento, entro il 2020.
Il timore dell’India è che una nuovo accordo permetta ai paesi sviluppati di disattendere le promesse fatte nelle precedenti conferenze dove, sul principio della “responsabilità storica” dell’inquinamento, i paesi del primo mondo avevano dovuto impegnarsi a supportare economicamente i paesi in via di sviluppo nella loro riconversione energetica verso un futuro verde.
Con la crisi del debito e dell’euro da una parte e le prossime elezioni negli Stati Uniti dall’altra, Prodipto Gosh – che in passato ha rappresentato l’India durante simili conferenze sui cambiamenti climatici – ha sentenziato senza mezzi termini: “Non ci saranno altri fondi provenienti dai paesi ricchi, stanno rimpacchettando i fondi precedenti per aiutare i Paesi in via di sviluppo a tagliare le proprie emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici”.
In ultimo, l’India è decisa ad opporsi ad ogni misura unilaterale che vada ad attaccare gli interessi diretti del Paese. Ne è un esempio la recente proposta dell’Unione Europea di una carbon tax per le linee aeree, cassata dal ministro del turismo indiano Subodh Kant Sahai come provvedimento “arbitrario” e causa, in caso di applicazione, di ingenti aumenti di prezzo del biglietto per le tratte più lunghe in partenza da Cina, India e Giappone.
[L’immagine di copertina è un’infografica del Guardian datata 31 gennaio 2011]