Dianshiju. Serie tv per tutti i gusti

In by Simone

Figlie minori della narrazione didascalica dell’epoca maoista, di serie tv in Cina ce n’è per tutti i gusti. Affrontano temi d’attualità, problematiche sociali, viaggi nel tempo e ricostruzioni di epoche storiche antiche e recenti. Le loro  “caratteristiche cinesi”? Niente parolacce, sesso o sconvenienti convivenze prematrimoniali.
Una produzione sterminata quella delle “dianshiju” (serie televisive), che aggiunge continuamente nuovi titoli a un mercato che sembra inesauribile grazie ai moltissimi canali nazionali, provinciali e locali, molti dei quali raggiungono comunque tutta la nazione attraverso le trasmissioni satellitari. Così è possibile che una stessa serie sia in onda diverse volte in uno stesso giorno, da qualche parte nell’affollato etere cinese.

Anche grazie alle tecnologie digitali che hanno abbattuto i costi di produzione, nuovi tv drama, serie o fiction si susseguono, di solito nel formato di stagione unica della durata di circa 30 o 40 puntate di 40 minuti, che con la pubblicità diventa un’ora.

E la scelta è ampia, ce n’è per tutti i gusti, e soprattutto per tutte le età. Anche se sono spesso i giovani a dettare il successo di una serie, grazie all’adorazione delle star che le interpretano, spesso famose quanto quelle del cinema, e all’onnipresente internet che sta rapidamente sostituendo la televisione (nonché il cinema, le librerie, i negozi di dischi…).

Ciò che soprattutto attira molti giovani è quanto alcune di queste serie riescono a raccontare e rappresentare i desideri e sentimenti del giovane pubblico, in particolare la nuova generazione nata negli anni ’80, una generazione rumorosa ma che sembra mancare di voce per esprimersi. Una generazione che però nel 2007 si è ritrovata unita a seguire Fendou (“lottare”), racconto di formazione di un gruppo di amici di fronte alla famiglia, l’amore e il futuro seguiti dall’ombra di un loro compagno suicida.

Un paio di anni fa è stata poi la volta di Woju (“case da lumaca"), ancora più vicina alla gente comune raccontando le difficoltà di una giovane ragazza appena arrivata a Shanghai nel trovare una casa dignitosa; racconto con i toni della commedia e dalle note romantiche. Ma forse proprio per toccare un tasto delicato come quello della casa e degli effetti della speculazione immobiliare sulla gente, le trasmissioni furono sospese su alcuni canali, ma la serie completa è comunque disponibile ancora oggi su internet. 

Il successo di Woju ha lanciato la giovane attrice protagonista Hai Qing, poi ingaggiata in molte altre serie tra cui Xifu de meihao shidai, adorabile serie leggera e romantica uscita lo scorso anno. Questa volta non temi sociali ma un contesto famigliare in cui però traspare un’ansia di “sistemarsi” di molte ragazze, complici le pressioni dei genitori e i valori confuciani tradizionali di pietà filiale.

Ultima in ordine di tempo (in uscita in questi giorni) è Yizu de fendou (“la lotta del popolo delle formiche”) dove il “popolo delle formiche” è un nuovo vocabolo del lessico urbano cinese che indica i giovani laureati costretti a lavori con bassissimo reddito e precari, un fenomeno che da qualche anno sta crescendo a ritmi vertiginosi.

Un contesto urbano e contemporaneo è sempre attualissimo e seguitissimo anche perché molte delle serie girate nelle città fanno parte di un genere definito “lunli” (etica), figlio anche della narrazione didascalica dell’era maoista. Storie realiste che mettono a nudo problemi, comportamenti e meccanismi sociali, come la recente e corale Jiachan (“proprietà di famiglia”): la morte improvvisa del padre di una numerosa famiglia lascia gli eredi a combattere per ottenere l’eredità costituita dal bene più prezioso, una casa. I solidi e tradizionali legami famigliari si sgretolano così davanti ai beni materiali e al desiderio di proprietà.

Lo sfondo metropolitano di alcune di queste serie riflette spesso le specifiche identità delle diverse città cinesi, portando anche a una sorta di regionalismo negli ascolti delle diverse serie, per cui ogni città ha le proprie fiction preferite in parte a causa delle scelte di palinsesto delle emittenti locali, ma anche perché spesso girate in loco in scenari subito familiari e riconoscibili, sebbene però tutte le serie siano rigorosamente in putonghua (cinese mandarino o lingua nazionale) e siano per lo più banditi i dialetti locali.

Un genere più trasversale e amato da tutti è il “wuxia”, di arti marziali e cavalieri erranti, che nell’etere della Cina continentale è diretto debitore delle storiche serie di Hong Kong, adattate spesso dai romanzi del celeberrimo Jin Yong (ancora in vita) ormai dei veri e propri classici del canone culturale pan-cinese, come ad esempio Tianlong Babu che a partire dagli anni ottanta è stato oggetto di remake nelle 3 Cine diventando poi anche un videogioco.

Ma il “wuxia” è allo stesso tempo anche il miglior genere da esportazione delle fiction cinesi, sia per un pubblico straniero, che può ritrovare sul piccolo schermo le atmosfere e i colori della Cina esotica conosciuta attraverso film di successo come La Tigre e Il Dragone e Hero, sia per le numerose comunità cinesi d’oltremare per cui questa tradizione storico-letterara è l’unico patrimonio culturale e linguistico condiviso. Da qui anche l’arrivo di serie come Il Destino del Maestro di Spada (Jianxia qingyuan) anche in Italia.

Quella “wu xia” non è la sola letteratura adattata sul piccolo schermo, numerosissimi nelle 3 Cine infatti gli adattamenti dei classici della letteratura, basti citare Hongloumeng (Il Sogno della Camera Rossa) e Xiyouji (Viaggio in Occidente). In particolare quest’ultimo con i suoi portenti e personaggi soprannaturali, ha aperto una via cinese alla fantascienza e agli effetti speciali. E la nuova versione, prodotta quest’anno promette una qualità tecnica persino maggiore.

Serie come queste potrebbero essere state l’origine di una nuova tendenza in cui il presente e il passato convergono in un nuovo racconto della Storia cinese. Una sorta di “fantascienza storica”, che immagina diversi modi di viaggi nel tempo, come appunto Il Destino del Maestro di Spada, un modo di rivedere la storia con un occhio contemporaneo.

Poi la scorsa primavera il Ministero della Radio, del Cinema e della Televisione, promuove in una nota l’eliminazione di simili temi e di ogni tipo di relativizzazione e banalizzazione della storia nazionale, oggetto di simile direttiva è stata la popolare Shenhua (Mito), in cui magici reperti storici portano i protagonisti indietro in un tempo pieno di avventure.

Ma questa nota ha forse avuto più risalto nei media occidentali che non nelle produzioni nazionali, tanto che un simile approccio alla storia è alla base anche del recente Bubuqingxi dove una ragazza dei nostri giorni dopo un incidente entra in coma per risvegliarsi alla corte dell’imperatore Kangxi della dinastia Qing.

Se la storia antica è oggetto di fantasiose escursioni e rivitazioni, non è lo stesso per quella moderna. Il tema è serissimo, e parte essenziale della retorica nazionale. Un capitolo ricorrente è la resistenza contro il Giappone, con i suoi intrighi, spie e traditori, ma soprattutto gli eroi patriottici. Qui la componente bellica è forte, come nel famoso Liangjian (Spada splendente). La storia recente è infatti rappresentata spesso su un campo di battaglia dove l’azione militare fa crescere l’audience (per lo più maschile), mentre il coraggio e il sacrificio formano l’ispirazione patriottica.

Insomma ce n’è davvero per tutti i gusti e tutte le dianshiju promettono un intrattenimento dalla “caratteristiche cinesi”: niente parolacce, sesso o sconvenienti convivenze prematrimoniali.

* Edoardo Gagliardi – Ha appena concluso il dottorato di ricerca  in cinema cinese contemporaneo presso la Facoltà di Studi Orientali dell’ Università di Roma, la Sapienza. Ha collaborato a riviste e siti internet come Rockerilla, Film, Caltanet e altri. Vive a Pechino dove collabora con The World of Chinese