Domani al via la sesta sessione plenaria del XVII congresso del Pcc. L’assemblea dovrà decidere i nomi di chi prenderà le redini del Paese. Si scontrano due visioni di futuro: chi vuole dividere la torta tra tutti e chi si preoccupa di farla più grande. Sono visioni che condizioneranno anche il nostro futuro perché l’economia cinese sta dando un grande contributo alla crescita globale.
Domani a Pechino prenderà il via la sesta sessione plenaria del XVII congresso del Partito. L’assemblea dovrà riempire le ultime caselle sui sette che affiancheranno Xi Jiping e Li Keqiang, rispettivamente indicati come – quasi sicuri – successori del presidente Hu Jintao e del premier Wen Jiabao.
Tra loro, i gemelli diversi della politica cinese si contendono un posto nel prossimo Comitato permanente del Partito comunista. Carismatici, apprezzati dai media, lontani dall’immagine ingessata degli alti funzionari cinesi, Bo Xilai e Wang Yang rappresentano i due estremi delle correnti interne a quello che soltanto apparentemente è un monolite politico.
Bo Xilai è paladino di un ritorno ai valori e all’estetica socialista, enfatizzata da campagne di propaganda dallo spirito maoista nella megalopoli di Chongqing e dalla lotta alla corruzione e alla malavita; mentre Wang Yang sta emergendo come la bandiera dell’ala liberale come segretario del Pcc del Guangdong, la più “aperta” delle province della Repubblica popolare e tra le prime a sperimentare il socialismo di mercato.
Il modello di Chongqing viene quindi costantemente paragonato a quello del Guangdong. La loro visione del futuro cinese è stata paragonata alla divisione di una torta. Per Bo, tutti devono poterne godere allo stesso modo, appianando le disuguaglianze, lato oscuro di trent’anni di riforme economiche e di sviluppo. La torta di Wang, già predecessore di Bo a Chongqing, deve invece essere più grande. Solo così un maggior numero di persone potrà riceverne una fetta.
Una delle opinioni diffuse tra gli accademici è che in Cina c’è chi ha il potere ma manca qualcuno che governi il Paese. Entrambi i modelli, sia quello Chongqing sia quello Guangdong, tentano di colmare questa carenza. Quanto lo stile dei due sia differente è stato però enfatizzato da Michael Anti parlando di nuovi media. “Wang, almeno così dice, si interessa di ciò che i cinesi scrivono sui microblog e cerca di agire di conseguenza”, ha spiegato il blogger e giornalista in un intervista a China Files, “al contrario Bo Xilai li usa per imporre la propria visione, non per ascoltare”.
La corsa per un seggio nel ristretto gruppo a nove al vertice del Partito, e quindi dello Stato, per i prossimi dieci anni è arrivata all’ultima curva. I 14 potenziali candidati, ha scritto Bloomberg, vanno da uno ex studioso di Harvard parlante inglese ad un’economista specializzato in Nord Corea. Le loro visioni avranno sempre più importanza perché l’economia cinese, che sta dando il più grande contributo alla crescita globale, è comunque condizionata dalla crisi del debito in Europa. Il Fondo monetario internazionale e la Standard Chartered Plc. stimano il prossimo mandato potrebbe essere quello decisivo per il sorpasso cinese sull’economia statunitense.
Alla vigilia dell’appuntamento, un editoriale del Quotidiano del Popolo, voce ufficiale del Partito, ha indicato il modello Chongqing come esempio per la cultura nazionale. Non a caso la riforma culturale è uno dei temi in agende del Plenum, ha scritto il South China Morning Post. “Si tratta di un chiaro sostegno alle campagne “rosse” di Bo”, ha detto il professor Hu Xingdou al quotidiano di Hong Kong. Un revival fatto di canti rivoluzionari, slogan esposti sulle strade, sms ai cittadini con le citazioni di Mao Zedong. Ai liberali appare solo come una riproposizione della Rivoluzione Culturale che tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso sprofondò il Paese nel caos.
Tutto per ricordare che nella Cina della crescita economica sempre attorno all’otto per cento annuo esistono ancora valori e ideali. Per altri analisti, l’articolo è stato invece uno stratagemma per rassicurare la nuova sinistra e bilanciare le varie anime del Partito. Xi Jinping, d’altronde, sarà – forse – il primo leader cinese a non poter contare sull’investitura concessa prima a Jiang Zemin e poi allo stesso Hu Jintao, dal "piccolo timoniere" Deng Xiaoping.
[Foto credits: theatlantic.com]