La falsa notizia della morte di Jiang Zemin è un esempio di come funziona il sistema mondiale del giornalismo su quest’angolo di mondo che è la Cina.
Sempre più curvo su se stesso, magro, vecchio e debole. Ma vivo, con i suoi grandi occhiali quadrati e, a tratti, sorridente. Jiang Zemin ha presenziato alla Cerimonia per il centenario della Rivoluzione. È stato ripreso dalle telecamere della Cctv e trasmesso su tutto il territorio della nazione.
Doveva essere morto il 6 luglio, secondo lo “scoop” della televisione Atv di Hong Kong subito ripreso da giornali e agenzie di stampa di tutto il mondo. Dalla Bbc, alla Reuters, al New York Times (e – nel nostro piccolo – da Repubblica all’Ansa). In Cina la notizia non era mai stata data dai media ufficiali e Xinhua, caso più unico che raro, aveva smentito il giorno dopo citando non meglio identificate “fonti autorevoli”: “Le notizie recenti da parte di media stranieri sul trapasso di Jiang Zemin dalla malattia alla morte non sono altro che rumors, chiacchiere”. Ma noi stranieri eravamo comunque sospettosi.
Da allora la notizia era “Jiang Zemin è morto. Forse”, perché – si sa – in Cina c’è la censura (noi la notizia l’avevamo data così). D’altronde per annunciare la morte di Mao, il Partito non aveva aspettato il 9 settembre solo perché era una data facile da ricordare (9/9)? Eravamo tutti convinti che bastasse aspettare qualche giorno per dare il tempo al politburo di organizzare le esequie e di riorganizzarsi e la notizia della morte sarebbe uscita. Con un’altra data, forse. O forse no.
Facevo un corso all’Università di Pechino, in quel periodo. Avevo un gran professore di storia, il cui nome cinese si traduce letteralmente – non sto scherzando – Lunga Marcia. Durante la pausa, mi faccio coraggio. Avvicino Lunga Marcia e gli chiedo: “quando, i funerali?” Mi guarda e si guarda intorno: “Hanno dato la notizia? Non ho visto i telegiornali a pranzo…” Dico che no, almeno non fino all’ora di pranzo. Che però la notizia era della sera prima, l’aveva data una televisione di Honk Kong e oramai compariva sui giornali di tutto il mondo. "E lei come l’ha saputo?", chiedo stupita. Lunga Marcia abbassa lo sguardo e mi fa a voce bassa: "Tingshuo, ho sentito dire". In quei giorni, l’intranet cinese impediva la ricerca di tutti i caratteri cinesi che potevano rimandare alla vicenda Jiang Zemin, compreso il suo cognome, Jiang, che significa fiume.
Jiang Zemin è un Presidente della Repubblica popolare cinese. In carica dal 1993 al 2003, tra Deng Xiaoping (“Non importa se il gatto è bianco o nero. È un buon gatto fino a quando cattura i topi”) e Hu Jintao (sempre alla ricerca della “società armoniosa”). Jiang, il primo leader senza un passato rivoluzionario o un background militare, ha traghettato il socialismo con caratteristiche cinesi nel Wto e ha proposto la candidatura vincente di Pechino per le Olimpiadi del 2008. È ed è anche uno dei leader più anziani ancora in vita.
Oltre alla questione del controllo dell’informazione, c’erano due tipi di ragionamenti che ci portavano a pendere per l’ipotesi che Jiang fosse morto e che il Partito avesse bisogno di tempo per digerire l’informazione ed espellerla in maniera controllata.
Uno. I funerali dei capi di stato in Cina sono momenti sensibili dal 1989 quando, dall’aprile dei funerali di Hu Yaobang si era arrivati alla notte tra il 3 e il 4 giugno in Piazza Tian’anmen. E ai carri armati contro gli studenti che tutti ricordiamo.
Due. Jiang Zemin è la figura più in alto a legittimare Xi Jinping, appena entrato a ricoprire un ruolo chiave della struttura militare della Repubblica popolare che gli spianerà la via, il prossimo ottobre, alla successione a Hu Jintao. Morto lui, potevano cambiare le carte in tavola. E i giocatori dovevano trovare il tempo di riorganizzarsi.
Per questi motivi enfatizzavamo il fatto che Jiang non aveva partecipato alla Cerimonia per i novant’anni del Partito comunista (1 luglio 2011) e sottovalutavamo il dato che l’ultima volta che era apparso in Tv era per il sessantesimo anniversario della Repubblica popolare (1 ottobre 2009). E neanche la smentita di Xinhua ci convinceva.
Ma passavano i giorni e i mesi, e la notizia ufficiale della morte di Jiang Zemin non arrivava. Né arriva una foto, un video o una qualsiasi prova del fatto che Jiang Zemin continuasse a vivere. Solo in pochi si fermavano a osservare quello che accadeva ad agosto nei piani alti di Atv, la televisione di Hong Kong che per prima aveva dato la notizia. In Italia, l’ha fatto Alessandra Spalletta.
Parrebbe infatti che la colpa di tutta la vicenda sia di Wang Zheng, influente azionista di Atv imparentato – pare – con la moglie di Jiang Zemin. L’ipotesi – corroborata dalle dichiarazioni di Leung, presidente dimissionario dell’emittente ‘incriminata’ – è che Wang gli abbia imposto di diffondere la notizia, per giunta falsa e in palese violazione della legge che regola la libertà di stampa, perché alla ricerca di nuovi investitori per il canale satellitare.
Sia come sia, il 9 ottobre, per celebrare il centenario della Rivoluzione che ha rovesciato l’ultimo imperatore, Jiang Zemin è apparso in pubblico. All’epoca aveva 15 anni e oggi ne ha 85. Ma il suo volto pallido ha messo a nudo il giornalismo mondiale.