Foraggiato da decine di miliardi in prestiti governativi, il settore del fotovoltaico cinese cerca nuovi mercati. L’Africa rappresenta lo sbocco ideale. Le aziende cinesi sono ormai il primo investitore nell’industria di settore. A giugno sono stati approvati progetti per 100 milioni di dollari (73 milioni di euro) in 40 nazioni africane.
Foraggiato da decine di miliardi in prestiti governativi, il settore del fotovoltaico cinese, in continua espansione, cerca nuovi mercati. E l’Africa rappresenta lo sbocco ideale. Le aziende cinesi sono ormai il primo investitore nell’industria di settore. Pannelli fotovoltaici “made in China” alimentano l’illuminazione per le strade del Sudan, montati sui tetti di scuole e ospedali, o addirittura nei campi profughi delle Nazioni Unite. Progetti per 100 milioni di dollari (73 milioni di euro) in 40 nazioni africane sono stati approvati a giugno.
“Le rinnovabili sono l’ultima frontiera della strategia di Pechino nel Continente”, ha detto Martyn Davies, direttore esecutivo della società di consulenza Frontier Advisory a Businessweek, “I prezzi di altri concorrenti, soprattutto spagnoli, francesi e tedeschi, non sono competitivi”. Se nel 2006 soltanto due aziende cinesi erano tra i maggiori dieci produttori di celle fotovoltaiche, quattro anni dopo la quota era salita a sei. Mentre gli unici due colossi occidentali rimasti nella top ten, First Solar e Q-Cells, hanno delocalizzato in Asia. A questo si aggiunge il volume degli affari cinesi nel Continente, passato dai 7,3 miliardi di euro del 2000 ai quasi 74 miliardi l’anno passato. Nel 2009 la Cina ha superato gli Stati Uniti ed è diventata il principale partner commerciale, coinvolto nel 14 per cento degli scambi secondo il dati della Banca africana per lo sviluppo. L’arrivo di capitali e tecnologia cinesi in Africa è vincolato all’utilizzo nei progetti di componentistica prodotta esclusivamente oltre la Muraglia. “Abbiamo bisogno dei mercati emergenti”, ha sottolineato Sun Guangbin, segretario generale della Camera di Commercio per l’importazione e l’esportazione di macchinari.
L’offerta incontra la domanda: secondo i dati della Banca mondiale, la quantità di energia disponibile per 800 milioni di africani nell’area sub-sahariana è la stessa di 46 milioni di spagnoli. Dal 1995 il settore energetico è cresciuto in media dell’1 per cento annuo, ossia circa 1.000 megawatt ogni 12 mesi, ma per soddisfare il fabbisogno servirebbe una crescita di almeno il 10 per cento. Via libera quindi anche a impianti idroelettrici come il Gibe III in Etiopia, che una volta completato nel 2013 sarà la più alta diga africana e permetterà di raddoppiare la produzione di energia elettrica. "Così da portare la corrente anche nei villaggi più remoti e favorire la lotta contro la povertà", diceva a marzo il primo ministro, Meles Zenawi. Il costo sarà di 2,2 miliardi di euro, ma non tiene conto delle perdite all’ecosistema nella bassa valle dell’Omo né dello stravolgimento della vita di 500mila etiopi né del rispetto dei diritti umani. Per il professor Jian Junbo dell’università Fudan, gli investimenti cinesi in Africa riempiono il vuoto nei settori lasciati scoperti dagli occidentali Mentre le rimostranze di Stati Uniti ed Europa giungono mentre sono loro stessi a chiedere l’aiuto finanziario di Pechino.
[Scritto per Terra. Foto credits: solarcooking.org]