Dal Sudest asiatico, al Medio Oriente fino agli Stati Uniti è tutto un proliferare di eroi e supereroi musulmani che lottano per la giustizia. Vi presentiamo Capitan Jihad, il nuovo idolo dei giovani indonesiani.
Non viene da un pianeta lontano, non è stato morso da alcun ragno transgenico, né è nato con i super-poteri. Capitan Jihad è tuttavia riuscito a conquistare i giovani indonesiani e il fumetto a lui ispirato è diventato la lettura più diffusa tra ragazzi e ragazze di ogni religione. Il nuovo fenomeno editoriale dell’arcipelago racconta la storia vera di Nasir Abas: 42 anni, ex militante della rete islamista Jemaah Islamiyah (JI), ora convertitosi alla lotta contro il terrorismo. “Ho finalmente scoperto il vero significato della jihad”, ripete l’ex militante coinvolto nell’addestramento dei responsabili degli attentati a Bali contro due discoteche frequentate dai turisti occidentali che nel dicembre del 2002 fecero oltre 200 morti, “non si tratta di lotta armata ma è uno sforzo intimo e serio per rimuovere il male, l’indolenza e l’egoismo da sé stessi, l’ingiustizia e l’oppressione dalla società”.
Il cambio di schieramento di Abas rappresenta uno dei maggiori successi del governo di Giacarta nel persuadere i militanti islamisti a collaborare con la polizia. Un programma che ha portato al fermo di 680 presunti terroristi, molti dei quali già sotto processo. Con 237 milioni di abitanti l’Indonesia è il Paese a maggioranza musulmana più popoloso al mondo ed è retto da uno Stato secolarizzato. Trascorsi tredici anni dalla caduta della trentennale dittatura di Suharto, ha avviato un lento percorso verso la democrazia. Nel 2004 Susilo Bambang Yudhoyono fu il primo presidente eletto a suffragio universale, poi riconfermato nel 2009. Nonostante gli sforzi del governo per contrastare le organizzazioni islamiste, gruppi per la tutela dei diritti umani denunciano un aumento dei casi di intolleranza religiosa. Un duro colpo alle reti estremiste è però arrivato lo scorso giugno con la condanna a 15 anni di carcere del leader religioso Abu Bakar Bashir, accusato di aver finanziato campi di addestramento nella provincia Aceh, la più conservatrice del multiculturale arcipelago, e considerato l’ispiratore della JI.
Le vicende raccontate nel fumetto tornano indietro fino agli anni Ottanta, quando il terrorista redento, ancora adolescente, fu reclutato per combattere contro l’invasione sovietica in Afghanistan. Il secondo strappo nelle vita di Abas arrivò nel 1998, data della fatwa e della chiamata alla lotta contro gli Stati Uniti lanciata dall’ex leader di al Qaida, Osama bin Laden, ucciso in Pakistan lo scorso maggio. Chiamata cui risposero anche membri della JI responsabili di una serie di attacchi alla fine del 2000 e poi ancora della strage di Bali. Fu allora che Abas, così almeno racconta, iniziò a ripensare il suo coinvolgimento nell’organizzazione, prima di essere arrestato nel 2003 e di diventare un informatore. “L’interpretazione del Corano dei miei ex compagni è infondata. Il mio compito è ora persuaderli di questo”, ha spiegato.
Per gli esperti di sicurezza si tratta di un modo creativo per impedire il diffondersi delle ideologie estremiste, soprattutto tra i più giovani, anche per questo il fumetto è stato distribuito nelle scuole con il sostegno dell’organizzazione non governativa Lazuardi Birru.
Già un anno fa fu tentato un esperimento simile con la pubblicazione di Ketika Nurani Bicar (Quando parla la coscienza), racconto in china della vita di Ali Imron, unico sopravvissuto della cellula terroristica della strage di Bali condannato all’ergastolo. Gli altri due attentatori, -suo fratello maggiore, Amrozi bin Nurhasyim, e Imam Samudra- infatti, furono invece condannati a morte e giustiziati nel 2008.
Oltre alla vicenda personale di Imron, la storia racconta la strage da diversi punti di vista. C’è quello di Haji Agus Bambang, un musulmano balinese, tra i primi a dare una mano per soccorrere le vittime delle esplosioni. Ci sono i ricordi di Hayati Eka Laksmi, moglie di una delle vittime, e i sermoni del religioso Ustad Reza, un personaggio di fantasia che denuncia i dogmi usati dai terroristi per giustificare con l’islam i loro crimini.
L’archetipo del supereroe islamico spetta tuttavia al kuwaitiano Naif al Mutawa, autore della saga dei “99”, ognuno dei quali deriva i suoi poteri da uno degli altrettanti nomi di Allah. Più di recente negli Stati Uniti, dalla matita del trentenne pachistano oggi cittadino americano, Adil Imtiaz, ha visto la luce Buraaq, primo eroe musulmano a stelle e strisce il cui nome ricorda sia quello del presidente statunitense, Barak Obama, sia il cavallo alato che condusse in cielo Maometto. Più contestata, almeno da una parte della destra americana intransigente e antimusulmana, è stata la decisione della DC Comics di affiancare a Batman un assistente francese conosciuto come Nightrunner. Nella serie Batman Detective Comics, il ‘pipistrello’ ha iniziato a reclutare assistenti in diverse città del mondo e la scelta del cavaliere oscuro in Francia è caduta su un ventiduenne di origine algerina delle banlieue parigine, la cui storia prende le mosse dai tumulti nelle periferie delle città francesi del 2005, inseguito ai quali il personaggio di Bilal Asselah si dedicò alla lotta per la giustizia.
[Scritto per Lettera43]