Lo stragista norvegese, nel suo manifesto, esprime solidarietà ed ammirazione nei confronti dei fondamentalisti hindu. Un accostamento non gradito dall’opinione pubblica indiana.
A pochi giorni dal duplice attacco a Oslo e all’isola di Udoya, dopo la scoperta e la diffusione di quell’immane mole di materiale autografato Brewick, compare un articolo controverso sul quotidiano nazionale indiano The Hindu: “Il manifesto del killer di massa norvegese loda l’Hindutva”.
In effetti, scorrendo le millecinquecento pagine della sua dichiarazione di intenti, si osserva che la parola “India” ricorre in ben 102 pagine e che molta retorica anti-islamica si ispira a una certa branca del fondamentalismo hindu legato ai movimenti di estrema destra che hanno forgiato il termine e l’ideale di “hindutva”.
Che cosa c’entra l’India nel supporto ideologico delle sciagurate idee di un criminale che si auto proclama un crociato della cristianità, antimarxista e antimusulmano?
Innanzitutto Breivik considera l’India “un alleato fondamentale nella lotta globale alla demolizione dei regimi democratici in tutto il mondo”. Evidentemente, con la metonimia “India”, Breivik intende riferirsi ad alcune frange della destra indiana che hanno alle spalle una storia di squadrismo e di forte violenza comunitaria sulla base di discriminazioni razziali e religiose. “E’ essenziale che i movimenti di resistenza indiani ed europei imparino l’uno dall’altro e cooperino il più possibile. I nostri scopi sono più o meno identici”. A questo punto prosegue prodigandosi in sentimenti di simpatia ed ammirazione per i gruppi hindu che “non tollerano le ingiustizie correnti e spesso attaccano e aggrediscono i musulmani per riportarli sotto controllo”.
Tuttavia Breivik si permette di esprimere un suggerimento sulla strategia dei nazionalisti hindu: “[…] è controproducente, poiché indirizzata agli avversari sbagliati. Bisogna consolidare le celle militanti e i primi bersagli dovrebbero essere i membri della classe politica che ha permesso un governo ‘culturalmente marxista’ ”.
Infatti nella sezione 3158 dello scritto, il criminale ribadisce: “I nazionalisti hindu soffrono la stessa persecuzione, da parte degli indiani culturalmente marxisti, dei loro fratelli europei” ed esprime la sua completa solidarietà: “I nazionalisti hindu avranno il pieno supporto nella loro guerra civile e nella deportazione di tutti i musulmani dall’India”.
Per i meno preparati in materia di fascismo made in India, Breivik fornisce anche una lista di siti internet che il lettore può consultare in caso desiderasse maggiori informazioni sul fondamentalismo hindu di cui sopra. Tali siti riguardano i maggiori gruppi extraparlamentari rinomati per pestaggi, incendi e violenze ai danni della minoranza musulmana, ma la sua lista include anche il maggiore partito di opposizione. Bharatiya Janata Party (BJP), Rastriya Swayamsevak Sangh (RSS), Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad e Viswa Hindu Parishad sono i principali nomi a cui si fa riferimento nel contesto degli “alleati hindu per la lotta globale”.
Quali sono i legami tra questi gruppi e l’estrema destra europea? E quali sono i motivi per cui, al contempo, la destra europea di stampo xenofobo e neonazista è affascinata e attratta dalla lotta indiana per l’hindutva?
I leader del concetto di hindutva, principalmente V. Savarkar e Golwarkar, nei primi decenni del Novecento elaborarono l’idea di un’India degli hindu, abitata da chi riconosce nel territorio una madrepatria e una terra sacra al contempo; un’India privata degli elementi spuri apportati dagli invasori che si sono succeduti nei secoli sotto le diverse vesti di Sultani di Delhi, Imperatori Moghul, Compagnia delle Indie e Regina Vittoria.
Siamo nel pieno contesto storico della lotta anticoloniale e l’India, prima di rendersi indipendente, deve trovare la sua identità culturale nel mezzo di quel guazzabuglio etnico, linguistico e religioso che è tuttora. La ricerca e la costruzione di un’identità indiana, l’urgenza di tale identità nell’ottica della decolonizzazione, l’emergere dell’odio intracomunitario che sfocerà nella Spartizione di India e Pakistan, sono tutti fattori che contribuirono alla nascita della RSS (Organizzazione dei Volontari Nazionali), responsabile dell’omicidio di Gandhi per via dei suoi rapporti troppo tolleranti e permissivi nei confronti dei musulmani, e di altri svariati episodi di razzismo e di violenza che dilaniano tutt’oggi l’India costituzionalmente multiculturale, dalla distruzione della moschea di Babri ad Ayodhya nel 1992, fino ai ricorrenti incendi delle sale cinematografiche nel caso il contenuto morale della pellicola non rispetti sufficientemente la sensibilità hindu più conservatrice.
Le idee di V. Savarkar e M. S. Golwalkar sono esplicitamente influenzate dal fascismo e non nascondono una grande ammirazione per le imprese di Adolf Hitler: “Per mantenere la purezza della razza e della cultura, la Germania ha scioccato il mondo disinfestando il paese dalla razza semitica. Ha manifestato la più alta forma di fierezza per la razza. La Germania ci ha mostrato come sia impossibile per razze e culture che hanno differenze radicali assimilarsi in un unico insieme: una lezione da imparare e da cui trarre profitto per noi qui nell’Hindustan” (M. S. Golwalkar, We, 1939).
Il personaggio di Hitler non ha cessato di attirare un’ambigua curiosità nel subcontinente indiano. D’altronde la Germania nazista ha avuto un ruolo chiave nella lotta indiana per l’indipendenza, ispirando alcuni personaggi cruciali per la nascita dell’anticolonialismo più radicale, come Subash Candra Bose, e fornendo aiuti economici e militari all’India per destabilizzare il nemico inglese durante il corso della Grande Guerra.
Forse anche per queste ragioni il Mein Kampf è uno dei best seller più venduti in India e, non godendo di copyright, viene pubblicato da una ventina di case editrici. Il grande impatto mediatico di Hitler nell’immaginario indiano è ben dimostrato da uno dei prossimi film in uscita dal mercato di Bollywood, dal titolo “Dear Friend Hitler”, il primo film in hindi mai prodotto a questo riguardo.
Il titolo è tratto dall’incipit delle lettere che il Mahatma Gandhi scriveva a Hitler per farlo riflettere sui suoi gesti, eppure il personaggio principale, più che incarnare storicamente il male, si limita a dipingerne una moralità ambigua.
In più occasioni della storia, a decenni di distanza, l’India e l’Europa riciclano, si prestano e si restituiscono le stesse idee, di volta in volta decontestualizzate e distorte per poi essere reinserite in una nuova cornice. Hitler adotta un improbabile repertorio di immagini recuperate dall’India vedica e si appropria di svastica e di purezza ariana per soddisfare le sue esigenze retoriche. Poco dopo l’estremismo hindu si rifà alle idee naziste per sostenere la propaganda dell’hindutva. E dopo ancora, come un serpente che si mangia la coda avvolto nelle sue spire, sul manifesto di un criminale che rivendica un’identità euro-cristiana fittizia, la parola hindutva ricompare senza alcun nesso significativo.
Dopo i recenti attentati di Mumbai, il commento di una lettrice del “The Hindu” suona tanto innocente quanto appropriato: “A me sembra una pazzia. In India il terrorismo islamico non è una minaccia ma una realtà. Cosa ne possono sapere in Norvegia?”
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