Cosa sta succedendo a Kashgar

In by Simone

[In collaborazione con AGICHINA24] Le strade polverose di Kashgar tornano a macchiarsi di sangue, riportando prepotentemente la questione etnica del Xinjiang in cima alla lista dei problemi di Pechino. Sabato 30 luglio, verso le undici e trenta di sera, esplodono un’autobomba e una bomba nei pressi di una strada piena di ristoranti, molto frequentata. Due uomini armati di coltelli uccidono il conducente di un camion, dirottandolo contro una folla di passanti. Scesi dal veicolo, iniziano una macabra caccia ai passanti, inferendo coltellate fino all’intervento della polizia. Secondo fonti ufficiali della regione autonoma del Xinjiang, le forze dell’ordine avrebbero catturato uno dei due attentatori, mentre l’altro sarebbe morto linciato dalla folla. Il bilancio di sette morti e ventidue feriti si sarebbe presto rivelata una stima provvisoria. Il giorno seguente, un “gruppo di terroristi armati” attacca un ristorante nel centro di Kashgar, uccide il proprietario e un cameriere e dà fuoco al locale, prima di lanciarsi in strada uccidendo altri quattro passanti.

La polizia interviene, colpendo a morte quattro terroristi e arrestandone altri quattro. Il resto del commando riesce a fuggire. Un weekend di sangue che, escluse le 18 vittime accertate e l’etnia uighura degli attentatori, lascia ancora molti punti in sospeso. La stampa cinese centellina i dettagli e non indica, ad esempio, di quale etnia siano le vittime, quale tipo di armi fossero in possesso del commando di domenica pomeriggio, identità degli attentatori uccisi o catturati. Secondo Al Jazeera esplosioni e spari sono continuati per tutta la giornata di domenica, mentre su Kashgar calava la legge marziale e i blindati delle forze dell’ordine presidiavano la città. “In tutta la città vige la legge marziale e più di 100 uighuri sono stati portati via dalla polizia” ha dichiarato il portavoce del World Uighur Congress (WUC) – organizzazione di esiliati uighuri con sede a Monaco, Germania – aggiungendo di temere che le autorità cinesi possano approfittare dell’instabilità attuale per incarcerare altri uighuri.

Gli attacchi di Kashgar arrivano a due settimane da un altro tragico scontro tra polizia e uighuri nella città di Hotan, nel sud del Xinjiang. Allora il bilancio fu di 18 morti, 14 dei quali uighuri. Secondo Pechino, il 18 luglio un gruppo di terroristi uighuri avrebbe attaccato la stazione di polizia di Hotan, costringendo le forze dell’ordine allo scontro; diversa la versione del WUC, che accusa la polizia di Hotan di aver sparato su un corteo di protesta pacifico. Nonostante non siano pervenute rivendicazioni terroristiche di nessuno tipo, il governo cinese consegna a mezzo stampa una spiegazione cristallina: le manifestazioni di violenza sarebbero orchestrate dall’East Turkestan Islamic Movement, una cellula terroristica legata ad al-Qaeda che combatte per l’indipendenza del Xinjiang.

I terroristi di Kashgar, secondo l’agenzia di stampa Xinhua, si sarebbero armati e preparati in un campo di addestramento dell’East Turkestan Islamic Movement situato in Pakistan. Negli ultimi anni gli attriti etnici tra la maggioranza uighura – del ceppo turco e musulmana – e la minoranza han sono esplosi a più riprese in veri e propri episodi di guerriglia. L’episodio più cruento risale al luglio 2009, quando gli scontri etnici ad Urumqi, capitale del Xinjiang, lasciarono sul campo oltre 200 morti. La protesta nacque dalla decisione del governo di radere al suolo il centro di Kashgar, caratterizzato da antiche abitazioni costruite in stile centro-asiatico e abitato in larga maggioranza da uighuri.

Ufficialmente la ricostruzione è stata motivata con un “ammodernamento delle infrastrutture e messa a norma degli edifici secondo gli standard anti-sismici”, ma l’etnia uighura ha interpretato la nuova misura come un attacco diretto al cuore della tradizione e cultura del Turkestan Orientale. Il Xinjiang – letteralmente “nuova frontiera” – è la regione più estesa di tutta la Repubblica popolare cinese. Di importanza strategica fondamentale per Pechino, è ricca di materie prime, petrolio e gas naturale, motivi sufficienti per iniziare una lenta ma inesorabile “sinizzazione del territorio”. Incentivi per imprenditori, stipendi più alti per soldati e polizia, borse di studio per universitari e la prospettiva di nuovi posti di lavoro hanno attirato sempre più cinesi han nella regione.

Secondo le ultime stime ufficiali del 2000, la minoranza han coprirebbe oggi il 40% della popolazione del Xinjiang. Il restante 60% – diviso tra uighuri (45%), kazaki, mongoli, tibetani, kirghizi, miao ed altri – lamentano un accesso ristretto al benessere che, sovvenzionato dalle infrastrutture volute dal governo centrale di Pechino, sta arricchendo la regione più occidentale e povera di tutta la Cina. Nel 2010, secondo il People’s Daily, il Pil del Xinjiang è cresciuto del 10,6%, a fronte di un investimento di quasi 354 miliardi di yuan. In una sorta di corsa all’oro del Far West, nel prossimo piano quinquennale il governo cinese vuole puntare allo sviluppo delle regioni occidentali – Tibet, Xinjiang e Sichuan su tutte – cercando di colmare l’enorme divario che caratterizza la geografia economica cinese, ricchissima nella zona costiera, poverissima a ridosso del confine ovest.

Parte del progetto interessa specialmente Kashgar, che nel 2010 ha iniziato il suo percorso per diventare la Shenzhen dell’ovest, una zona economica speciale che dovrebbe trainare la crescita della regione: un piano che non ha incontrato il favore dell’etnia locale, restìa alla sinizzazione sociale e culturale che, come in Tibet, sempre accompagna il flusso modernizzatore proveniente da Pechino.

[Pubblicato su AGICHINA24 il 1 agosto 2011] [Immagine dal Global Times, http://www.globaltimes.cn/NEWS/tabid/99/articleType/ArticleView/articleId/668752/Terrorist-attacks-hit-Kashi.aspx]