Si allarga la marea nera nella Baia di Bohai, nord est della Cina. La fuoriuscita di petrolio dal giacimento di Penglai 19-3, ha ormai raggiunto i 4,200 chilometri quadrati di estensione, quattro volte la superficie della città di Roma. Un disastro ambientale taciuto per un mese e svelato da un privato cittadino sul suo microblog. I responsabili, il colosso petrolifero statunitense ConocoPhillips, e l’azienda statale China National Offshore Oil Corp, CNOOC, dovranno pagare un multa di 20 mila euro. In arrivo ci sono le cause intentate dagli ambientalisti e pescatori. Ma le carenze legislative rendono l’arrivo dei risarcimenti tutt’altro che scontato. Una macchia nera estesa 4,200 chilometri quadrati, quattro volte la superficie di Roma, taciuta per oltre un mese dalle compagnie, al corrente dei due incidenti: il primo datato 4 giugno, il secondo due settimane dopo.
In tutto sarebbero almeno 7.000 i barili di greggio riversatisi nelle acque, secondo le stime del professor Zhang Luoping dell’Accademia per l’ambiente oceanico di Xianmen. La sanzione stabilita dall’Amministrazione per gli oceani per questi casi è di 200mila yuan (20mila euro circa). Difficilmente paragonabile ai milioni di euro che dovette sborsare la British Petroleum per l’esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico. Fu il più grave disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti: in mare si riversarono 5 milioni di barili di greggio e per fermare la perdita ci vollero 106 giorni.
Diverso il caso cinese, sebbene i funzionari provinciali dello Shandong, al largo delle cui coste si estende la macchia nera, hanno promesso risarcimenti milionari, sui 20 milioni di euro ogni 10 chilometri quadrati. “Manca una giurisprudenza adeguata sull’argomento”, ha spiegato al ‘Legal Daily’ il professor Liu Jiayi, ricercatore al China Institute for Marine Affairs. Calcolare i danni ambientali è complicato e spesso i risarcimenti coprono soltanto le perdite dei pescatori. Diversa l’opinione di Gordon Chang su Forbes, secondo cui qualcuno pagherà e sarà la ConocoPhillips. La compagnia, ha argomentato, è straniera, in quanto tale senza difese. Una certezza confermata dalle parole di Zhao Hongshun direttore generale della Qin Islanf, uno stabilimento locale per la lavorazione del pesce che già nel 2008 subì ingenti perdite dopo una fuoriuscita di petrolio dalla Sinopec, uno dei tre giganti petroliferi statali.
Una crisi per la quale ancora attende i risarcimenti: “pagheranno. Sono americani”, è convinto questa volta Zhao. A svelare la perdita di petrolio dal giacimento di Penglai 19-3 fu un privato cittadino che il 21 giugno diffuse la notizia sulla piattaforma di microblog Weibo, parlando di pesci morti e alghe in decomposizione. Poi di nuovo il silenzio fino ai primi articoli sulla stampa nazionale datati 6 luglio, apparsi sul Southern Weekend, sebbene l’entità del disastro fosse ancora ridimensionata: si parlò di 840 chilometri quadrati di mare inquinato.
Undici tra organizzazioni non governative e gruppi ambientalisti cinesi si sono già mobilitate per promuovere un’azione legale nei confronti della società -statunitense che gestisce il giacimento e e di quella cinese, che controlla il 51 per cento del ramo locale della ConocoPhillips. Il primo passo del governo è stato invece il blocco delle trivellazioni nell’area. Una scelta motivata anche da una terza fuoriuscita, di minori dimensioni, dal giacimento Suizhong 36-1, causata da un malfunzionamento nel sistema di controllo.
La memoria corre all’incidente dell’anno scorso nel porto di Dalian, quando l’esplosione di due oleodotti della China National Petroleum provocò la fuoriuscita di 12mila barili di greggio pari a un danno economico di oltre 200 milioni di yuan (31 milioni di euro). Un incidente catalogato “ad alto livello d’inquinamento” secondo la legge sulla tutela ambientale approvata a marzo dell’anno passato che affida l’inchiesta direttamente al governo. Soltanto nel 2008, riferì allora il quotidiano Global Times , furono registrate 109 fuoriuscite di greggio in Cina.
L’attenzione dei media statali fu allora molto alta, tutti ricordano le immagini dei soccorritori, delle navi e degli oltre 500 pescherecci impegnati nelle operazioni di bonifica costate la vita ad almeno un vigile del fuoco annegato. Tutto il contrario di oggi, quando sulla faccenda, almeno per un mese è calato il silenzio.
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