“Mi potresti dire una parola per descrivere lo Xinjiang?” “Lo Xinjiang: casa, la mia casa, il luogo in cui sono nato.”
Mamer, quarantanni, risponde in maniera elegante e distaccata alle domande che gli vengono rivolte, con uno sguardo imperturbabile e apparentemente incurante di ciò che avviene attorno. Racconta il percorso che ha portato la sua band, gli IZ, alla pubblicazione dell’ultimo album, Shadow, presentato in due concerti a Pechino questa settimana e poi in Europa con un tour estivo.
“Shadow è il primo lavoro che veramente mi rappresenta, quello che ho fatto prima è stato in collaborazione, solo adesso, ci sono io veramente.” La storia degli IZ nasce nel 2002, quando Mamer, decide di fondare un gruppo e andare oltre la passione per la musica e avviare, così, il proprio percorso di ricerca: esprimere la sua identità kazaka, della provincia cinese dello Xinjiang, e contemporaneamente parlare, o meglio, dare un suono al processo di urbanizzazione del mondo di oggi.
Nel corso degli anni gli IZ hanno cambiato molti componenti e con loro le sonorità e gli strumenti utilizzati, fino ad arrivare all’ultima formazione di oggi, completamente nuova rispetto alle origini. Nel 2009 è uscito Eagle, un album prodotto dalla Real World Records, importante etichetta per la World Music “Ma quello non era ciò che volevo veramente, non mi appartiene, c’è stato poco da fare”.
Grazie a quell’album, però, Mamer ha avuto un lancio internazionale con la partecipazione al WOMAD Festival in Inghilterra e con la collaborazione di musicisti importanti come Bela Fleck. Da quel momento in poi, decide di riconoscersi interamente nella sua musica e di approfondire le forme sonore che lo caratterizzano: ricrea il folk degli strumenti tradizionali e delle antiche melodie, in un’espressione moderna del rock psichedelico, molto vicino all’industrial, specchio sonoro dei cigolii delle macchine, delle fabbriche e degli alti palazzi.
Sul palco, il batterista alterna ai piatti tradizionali l’utilizzo di un ventilatore elettrico che percuote con dei cacciavite, mentre un altro membro della band distorce, attraverso ritmiche accelerate il suono del Dombra, uno strumento utilizzato sia in India sia in Asia centrale. “É da quando sono piccolo che ascolto musica di ogni genere, la musica per me vuol dire apprendere continuamente, questo album è un passaggio di quello che sono io al momento, in futuro, non so cosa accadrà”.
Nel suono degli IZ è evidente l’influenza degli Einstürzende Neubauten, di cui Mamuer indossa la maglietta, con l’antico logo tolteco della rinomata industrial band tedesca. La ripetitività incalzante delle melodie, affascina e stordisce. La voce, sensuale e cavernosa, emette suoni indistinti in lingua kazaza, di cui si può esclusivamente ipotizzare il significato. Le vibrazioni afferrano lo stomaco, in una commistione di solida inquietudine e concentrazione ipnotica, che non trova mai spazio ad un’aperta risoluzione.
La sovraincisione delle linee strumentali, l’utilizzo del sintetizzatore e le percussioni di oggetti metallici (tubi, ventilatori, cacciaviti, scatole) alterano completamente quelle che sono le tradizionali linee guida delle melodie degli antichi canti Kazaki. Aken una melodia tradizionale dello Xinjiang, ora è oscura e nebulosa, così lontana dalla sua terra di origine. “Adesso nello Xinjiang ci sono scuole, istituti dove puoi imparare a suonare gli strumenti tradizionali, ti insegnano le basi, ma fare musica è un’altra cosa e oggi c’è poca gente che la fa…”
Fare musica, per Mamer è quindi andare avanti alla ricerca di una propria identità e allo stesso modo un mezzo di condivisione: “L’urbanizzazione, l’abbiamo subita e la stiamo subendo tutti quanti, ovunque”. É questa strada senza uscita, che, forse, avvolge la coscienza del pubblico mentre osserva gli occhi bassi e cupi di Mamer.
Link: Mamer su myspace