Secondo una nota della Xinhua, Jiang Zemin non sarebbe morto e le notizie rimbombate sui media ieri, sarebbero "voci". Comunicazione ufficiale che non chiarisce le condizioni di salute dell’ex presidente, il cui nome ieri è stato protagonista di una stramba censura on line. In attesa di comuncazioni ufficiali, un breve ritratto di Jiang Zemin, mentre da altri ambienti giornalistici cinesi pare si sia solo in attesa dell’annuncio ufficiale La mancata partecipazione alle celebrazioni dei 90 anni del Partito Comunista cinese, aveva fatto nascere i primi sospetti, subito colti dalla rete locale. Movimenti inusuali presso l’ospedale militare dove sarebbe ricoverato, avevano confermato le voci. Infine ieri due televisioni di Hong Kong e l’agenzia di stampa giapponese sembravano confermare le voci del web: Jiang Zemin sarebbe morto.
Dalla Cina nessuna conferma, voci vicino al Partito bollano la questione come “confidenziale” e sul web impazzano le supposizioni. Il governo le controlla e immediatamente censura il nome di Jiang Zemin e tutto quanto è collegato: ad esempio la parola fiume, che si scrive con il carattere jiang e le parole “morte” e “ospedale 301” quello militare dove sarebbe l’ex presidente agonizzante, o chissà già morto. Nessuna speculazione su un grande della Nuovissima Cina, non certo però tra i favoriti dell’attuale nomenklatura al potere. Stretto riserbo, anche se non sono mancate le incongruenze: cancellato dai twitter locali nelle ricerche, il nome di Jiang Zemin era però presente tra i “trend topic” dei microblog cinesi. Jiang Zemin dopo l’esperienza come sindaco di Shanghai (dal 2004) ha guidato la Cina con incarichi ufficiali dal 1987, poi dal 1989 come segretario di Partito e presidente della commissione militare del Partito, dal 1990 come presidente della commissione militare della Repubblica e dal 1993 come Presidente della Repubblica Popolare.
Visse il 1989 in una posizione defilata apparentemente, che finì per convincere Deng Xiaoping a metterlo a capo del partito proprio in quel tragico anno e a lasciargli infine il passo alla Presidenza della Repubblica nel 1993. Jiang Zemin finì per consacrare il pensiero del suo predecessore tra quelli fondamentali della Repubblica Popolare e si ritagliò un suo spazio tra i grandi con le sua teoria delle tre rappresentatività (san ge daibiao),secondo la quale la forza del Partito deriverebbe dalla capacità di rappresentare le forze produttive più avanzate del paese, le sue più avanzate culture, per garantire gli interessi della popolazione. Una formula che venne inserita nello statuto del partito proprio nel 2002, dopo varie formulazioni con il chiaro intento di lasciare una traccia teorica nella storia della Cina. Una bella rivincita per Jiang considerato sempre un ottimo esecutore (fu promotore di campagne anti corruzioni molto incisive, fece il primo discorso su Hong Kong divenuta cinese nel 1997 allo stadio dei Lavoratori usando parole che incendiarono gli animi nazionalisti cinesi) ma poco brillante riguardo ad idee e carisma, seppure concentrato e non poco a costruire un personale culto di se stesso.
Da studente aveva partecipato alle proteste anti giapponesi, poi era entrato nel partito comunista senza occupare posizioni di rilievo. Aveva imparato il russo a Mosca presso la fabbrica automobilistica Stalin (più in là avrà modo di soggiornare anche in Romania), era tornato in Cina e aveva continuato ad operare nel campo dei motori, salvandosi dalle costanti epurazioni compiute nel periodo della rivoluzione culturale. Nel 1983 venne nominato ministro dell’industria elettronica e nel 1987 membro del Comitato Permanente del Partito. Nel 1984 era stato eletto sindaco di Shanghai, dopo anni di attività di gestione del nuovo polmone economico cinese, le Zone Economiche Speciali che Jiang Zemin governò con tatto e determinazione, costruendo da lì un impero di contatti e gruppi di potere che si estende ancora oggi.
Se infatti la transizione dei poteri all’attuale presidente Hu Jintao avvenne in modo indolore, seppure attraverso scontri interni molto forti, anche il prossimo leader della Cina, Xi Jinping pronto a succedere a Hu Jintao nel 2012, viene fatto ricadere nella casella del gruppo shanghaiese che fa riferimento a Jiang Zemin. Noto per il suo viaggio negli Usa dove incontrò Clinton, divenne celebre per l’ammissione di “qualche errore” nelle gestione delle proteste del 1989.
[Anche su Il Fatto Quotidiano]