90 ANNI DI PCC// La grande scritta: applausi

In by Simone

[Speciale China-Files/Agichina24]

Senza il Pcc non c’è la Nuova Cina è un motto che ricompare frequentemente nei vari speciali che i media cinesi stanno dedicando al novantesimo anniversario del Partito comunista cinese, talvolta descritto col sottile eufemismo di “partito di maggioranza in Cina”. Il detto, coniato agli albori della fondazione della Repubblica popolare per marchiare a fuoco l’indispensabilità del Partito nella storia cinese a venire, oggi non può che generare sentimenti contrastanti: l’ammirazione per un sistema di potere festeggiato vivo e vegeto ben oltre la sua naturale età pensionabile si mischia al brivido della predestinazione, alla minaccia implicita che lega la longevità del Partito alla sopravvivenza della Cina, seppur Nuova.

L’unicità di un rapporto simbiotico di così lunga durata, forzato lungo i decenni ogni qual volta minacciato da forze interne o – molto più raramente- esterne, costringe la superpotenza cinese ad un’ennesima celebrazione del suo padre padrone. Ennesima, perché in Cina ogni singolo evento, ogni motivo di soddisfazione o gioia collettiva non può che declinarsi all’esaltazione della propria classe politica, in un circolo vizioso apparentemente senza fine di successi e riconoscimenti di merito al Partito. Festa della Repubblica, festa dei lavoratori, Olimpiadi, Expo, Roland Garros, risultati nel campo delle nuove tecnologie, imprenditoria: il Partito dall’alto esige il suo obolo di ringraziamento, che puntualmente viene sempre offerto, altrimenti estorto.

Forse è per questa infinita serie di grazie ricevute che oggi, nel 2011, le formule per la celebrazione sono stancamente ridondanti, indenni al fisiologico cambiamento dettato dallo scorrere del tempo. Come un solo megafono, gli organi mediatici della Repubblica ripetono sempre gli stessi mantra: il Partito ha fatto il bene della Cina, il Partito promuove la lotta alla corruzione, la Cina deve proseguire nel principio socialista con caratteristiche cinesi sotto la guida del Pcc, il mondo religioso cinese continua a volere la guida del Pcc sono solo pochi esempi degli articoli apparsi sugli organi di stampa nazionale che, facilitati dalla rodata ciclicità dell’esaltazione del potere, ad ogni appuntamento sensibile non si fanno mai trovare impreparati.

Lo stesso discorso vale per le forme d’intrattenimento pop come le Canzoni Rosse, inni alla maestà del comunismo cinese e di Mao Zedong vecchi di almeno quarant’anni ma ancora orgogliosamente cantati a squarciagola dalle masse. Per non parlare poi del kolossal propagandistico “L’inizio della grande rinascita” proiettato nei cinema di tutta la nazione – previo boicottaggio delle pellicole hollywoodiane e organizzazione di gite di lavoro coatte per spedire dipendenti statali e scolaresche nelle sale – o delle miniserie televisive dedicate al Pcc che seguono un filo narrativo millimetricamente dissimile rispetto alla normale programmazione, ricca di fiction su comunisti contro nazionalisti o cinesi contro giapponesi.

L’estetica di questo luglio 2011 mette allo scoperto il problema centrale del Pcc: la propria attualità. Mentre la Cina da oltre 30 anni, con l’inizio della politica di riforma ed apertura, si è incontrata e scontrata col resto del mondo, facendosi contagiare dalla modernità e dal progresso al di là della Grande Muraglia e diventandone nel giro di due decenni uno dei principali protagonisti, il Partito arranca incapace di reinventarsi in chiave contemporanea, ancorato nell’esaltazione di un’epoca lontana dove i vecchi – o i morti- di oggi erano la novità, i rivoluzionari, gli artefici del cambiamento ed i pionieri della Nuova Cina.

Oggi, i quadri promossi alla cabina di regia di Zhongnanhai sono solo vecchi amministratori invecchiati nei giochi di potere del Partito, i vincitori provvisori dell’infinita lotta intestina per risalire la scala gerarchica cinese. Il Pcc, ingessato nella sua proverbiale freddezza dei costumi e determinazione nella repressione, è al comando di un paese che stancamente lo sopporta, soddisfatto di un tenore di vita tutt’altro che frugale ed adagiato nella sicurezza proveniente dalla delega delle proprie responsabilità ad un’entità superiore e, lo prova questa particolare ricorrenza, protesa verso l’immortalità. Si parla chiaramente della maggioranza, degli “amici del popolo”; il destino delle voci dissonanti è superfluo ricordarlo.

Visto da fuori, questo spettacolare novantesimo compleanno lascerà il mondo a bocca aperta con le sue bandiere rosse, i suoi cori rivoluzionari, i suoi numeri e la sua apparente devozione alla causa. Ma da dentro la sensazione sarà più vicina alla noia, all’abitudine, alla ripetizione di uno show mandato in replica per oltre sessant’anni dove il pubblico, immobile sugli spalti, non smette mai di applaudire. La scritta “Applausi” sopra la telecamera, in Cina, non si spegne mai.