90 ANNI DI PCC// Il film celebrativo: l’inizio della grande rinascita

In by Simone

[Speciale China-Files/Agichina24]

Un centinaio di star più o meno famose –alcune delle quali provenienti da Hong Kong, Taiwan e Giappone-, un budget milionario, impiego delle migliori tecnologie nel campo della produzione cinematografica: queste le premesse di jiandang weiye (“la proba impresa della fondazione del partito”), film che in occasione del novantesimo anniversario del Partito Comunista Cinese, ne celebra la nascita, e con essa quella di una nuova Cina. Sin dal sotto-titolo inglese Beginning of the Great Revival si intuisce come l’idea che il film vuole trasmettere sia quella che la nascita dal Partito Comunista Cinese ha dato inizio a una rinascita nazionale di cui oggi si vedono effetti prorompenti. Film storico, commerciale e di propaganda politica allo stesso tempo; un sicuro campione d’incassi che però difficilmente il pubblico cinese, soprattutto quello più giovane, amerà allo stesso modo di molti blockbuster americani d’importazione.

Segni di avversione da parte del pubblico sono apparsi sin da subito; pochi giorni dopo l’uscita nelle sale infatti un sondaggio di apprezzamento su uno dei maggiori portali di cinema cinese (mvgod.com) ha registrato un giudizio negativo da parte del 92% dei votanti, che lo hanno definito come “film spazzatura, da non vedere”.

Il sondaggio è stato poi rimosso dal sito, così come è stato disabilitato l’analogo sistema di votazione su siti come douban.com e mtime.com. Anche molti giudizi negativi sono stati rimossi da molti blog. Tutta questa attenzione da parte del pubblico e capillarità nel controllarne le opinioni a riguardo, dimostra come questo jiandang weiye non sia semplicemente un film commerciale, né tanto meno il solito ennesimo film di propaganda, genere abitualmente ignorato dal pubblico più giovane.

E’ infatti proprio ai giovani che jiandang weiye sembra essere rivolto, attuando tutte quelle strategie tipiche del cinema commerciale nazionale, che rendono un film un evento mediatico che si estende anche al di là della sala cinematografica. Questa strategia di marketing ha un riscontro diretto negli incassi: così jiandang weiye ha potuto, anche grazie a una massiccia distribuzione, spodestare Kong Fu Panda 2 (che comunque aveva incassato di più nella sua prima settimana) e raggiungere il primo posto nella classifica di botteghino con circa centodieci milioni di yuan nei primi 5 giorni di programmazione.

E’ stato sufficiente questo dato ai promotori (commerciali e politici) del film per decretarne il pieno successo. Ecco allora che attraverso un’operazione commerciale il botteghino cinematografico (piaofang) può diventare un nuovo indicatore di approvazione politica, evidentemente tutt’altro che realistico ma, così come le elezioni democratiche, legittimato della partecipazione popolare. 

Gran parte del merito del successo va senza dubbio ai registi di jiandang weiye Huang Jianxin e Han Sanping, il primo regista della Quinta generazione di registi cinesi emersa negli anni Ottanta, e autore di una delle opere più insolite di quella corrente, ovvero la black-comedy Black Cannon Incident

Ma è da considerarsi soprattutto Han Sanping la vera mente dell’operazione: direttore della tentacolare struttura monopolistica -e quindi “para-governativa”- China Film Group Co., egli è uno degli uomini più potenti dell’industria cinematografica cinese. I due insieme avevano già firmato nel 2009 jianguo daye (The Founding of A Republic) uscito in occasione dei sessant’anni della Repubblica Popolare Cinese e di cui quest’ultima opera vuole essere un ideale prequel, mantenendone impianto estetico e assetto produttivo. 

Jiandang weiye è un film storico a uso delle nuove generazioni. La Storia che racconta ricopre un’estensione temporale che va dalla caduta dell’ultima dinastia Qing (1911) alla fondazione del Partito Comunista Cinese (avvenuta effettivamente il 23 Luglio 1921, ma celebrata il primo giorno del mese a partire dal 1941). Ovvero, inizia con quella rivoluzione repubblicana del Xinhai che sempre quest’anno vede ricorrere l’importante centenario (e che sarà celebrata da un altro film diretto da Jackie Chan in uscita a Settembre). Da quel momento ha preso il via uno dei periodi più turbolenti e incerti della storia della Cina moderna: la transizione dalla dinastia imperiale alla costituzione di uno Stato moderno. Periodo durante la quale la Cina è un paese debole e diviso, ancora semi-colonizzato e semi-feudale (così recita la didascalia introduttiva della pellicola). 

La travagliata pagina storica diventa perciò un percorso complesso e difficile verso la rinascita nazionale, della quale la costituzione del PCC è un fondamentale nodo iniziale, che porterà all’affermazione della potenza cinese di oggi (non è quindi a caso che il film si concluda con le immagini di una Tian’anmen dei giorni nostri). I fatti del film sono narrati nei particolari, in una sequenza strettamente cronologica e lineare, scanditi da didascalie necessarie a collocare gli eventi che si susseguono rapidi, facendo a volte perdere di vista le dinamiche e il contesto socio-culturale. 

Ma allo stesso tempo i numerosi eventi più o meno importanti che spostano continuamente l’azione in diversi luoghi dentro e fuori la Cina, danno spazio a quei tanti personaggi storici “minori” che in jiandang weiye diventano altrettanti attori, più o meno giovani, più o meno popolari che possono così apparire e farsi riconoscere anche se per pochi secondi. Ma se la narrazione storica appare fedele ai fatti, in essa un forte sentimentalismo diventa il canale di coinvolgimento come nel tipico cinema narrativo commerciale

Ecco quindi che lo spettatore è preso per mano e le sue emozioni sono guidate come dovuto. Ci si emoziona quando il giovane Mao arringa i lavoratori, ci si indigna quando le potenze riunite a Versailles offendono la Cina, ci si infervora quindi quando gli studenti di Pechino reagiscono scendendo in strada per rivendicare l’orgoglio della nazione umiliata, dando così vita ai movimenti del 4 maggio (1919). E ci si intenerisce persino quando ancora il giovane Mao si innamora di Yang Kaihui, il cui padre e professore di Mao benedice l’unione dal suo letto di morte, gesto ultimo di riconoscimento delle virtù di quel ragazzo che un giorno diventerà Presidente, proprio grazie a quelle sue virtù innate. 

E infine ovviamente l’azione: intrighi e omicidi, inseguimenti e complotti. Ma soprattutto l’eroismo epico-militare, residuo dei film di propaganda maoisti e necessario elemento del cinema commerciale cinese. Come quello del giovane Zhu De, che al fianco del generale Cai E avverso a Yuan Shikai e i signori della guerra, da solo annienta le difese nemiche in una scena di grande azione. Si preconizzano così i personaggi che un giorno governeranno il paese, e se ne mostrano le virtù che ne legittimano il loro destino. Eppure allo stesso tempo scopriamo che la storia del PCC non è solo fatta da grandi uomini (/attori) ma anche di rivolte e atti rivoluzionari. 

Certe azioni (proteste, scioperi, attivismo politico non autorizzato) sono ampiamente mostrate e politicamente legittimate, almeno nella finzione e nel contesto storico. La realtà contemporanea cinese, si sa, è ben diversa. Questa almeno una delle letture possibili. Ma è evidente come jiandang weiye voglia essere un buon prodotto d’intrattenimento da recepire in maniera acritica quel tanto basta a far salire il piaofang, piuttosto che un realistico racconto storico destinato alle nuove generazioni.