I titoli di oggi:
- In calo gli investimenti cinesi diretti in Europa
- La politica “Zero Covid” frena la crescita economica della province cinesi
- La Cina approva la risoluzione dell’Onu
- La guerra in Ucraina come modello per le esercitazioni militari di Taiwan
“L’era dei massicci investimenti cinesi in Europa sembra essere finita”. E’ questa la sintesi del rapporto pubblicato ieri dal Rhodium Group e dal Mercator Institute for China Studies (Merics), che ha preso in esame gli investimenti cinesi diretti (Ide) nel Vecchio Continente nel 2021. Dallo studio emerge che gli Ide in Europa sono aumentati nel 2021, ma sono rimasti bloccati in un trend discendente ormai pluriennale. Secondo il rapporto, gli investimenti dei cinesi nei 27 Stati membri dell’Ue e nel Regno Unito nel 2021 sono aumentati del 33 per cento, pari a 10,6 miliardi di euro, superando il bilancio del 2020, quando gli investimenti ammontavano a 7,9 miliardi di euro. Però, il valore del 2021 non è tra i migliori registrati negli ultimi anni: solo nel 2016, infatti, gli Ide erano pari a 47 miliardi di euro.
Tra i fattori che hanno pesato sull’inversione di rotta finanziaria cinese, primeggiano le attuali tensioni geopolitiche e la pandemia di Covid-19. Ma anche le frizioni tra Pechino e Bruxelles, che proprio nel 2020 ha rafforzato il meccanismo per il controllo degli investimenti esteri: lo strumento europeo ha avuto un impatto significativo sui flussi degli investimenti cinesi in Ue. Stando a quanto emerge dal rapporto, Bruxelles sta lavorando su altre norme che potrebbero influire sull’accesso al mercato delle aziende cinesi in Europa e diminuire gli investimenti cinesi.
La politica “Zero Covid” frena la crescita economica della province cinesi
La gran parte delle province cinese è colpita dalle restrizioni introdotte per frenare la diffusione della pandemia, in base alla strategia “Zero Covid”. Le regioni che costituiscono un terzo dell’economia cinese hanno registrato una crescita più lenta nel primo trimestre del 2022, non raggiungendo il tasso di crescita del prodotto interno lordo nazionale del 4,8 per cento. Tra le più colpite, il Guangdong e Jiangsu – le due principali economie della Cina – che sono cresciute rispettivamente del 3,3 per cento e del 4,6, secondo gli uffici di statistica locali. E’ stata debole anche la spesa dei consumatori nelle province più colpite dalle restrizioni previste dallo “Zero Covid”. Le vendite al dettaglio nel Guangdong sono cresciute dell’1,7 per cento nel primo trimestre rispetto all’anno precedente, mentre nel Jiangsu sono aumentate solo dello 0,5 per cento. Le vendite a Shanghai e a Tianjin, invece, sono diminuite rispettivamente del 3,8 per cento e del 3,9.
L’unica provincia che ha registrato un trend positivo è quella dello Jiangxi, che nel primo trimestre ha segnato un aumento del tasso di crescita del 6,9 per cento. La provincia sud-orientale ha registrato una crescita delle vendite al dettaglio dell’8,9 per cento, ma anche degli investimenti e della produzione industriale, rispettivamente pari al 15,6 per cento e del 9,5. Tuttavia, questi dati dimostrano come le prospettive di crescita complessiva della Cina si stiano abbassando.
La Cina approva la risoluzione dell’Onu
La Cina sostiene la risoluzione adottata dall’Assemblea generale dell’Onu che richiede ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza di giustificare il loro veto. La misura prevede che gli unici detentori del potere – Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito – siano convocati “entro dieci giorni lavorativi dall’opposizione di uno o più membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, per tenere un dibattito sulla situazione in cui il veto è stato espresso”. Il testo, tuttavia, non è vincolante e nulla impedisce a un paese che ha usato il suo veto di non presentarsi all’Assemblea Generale per spiegarlo. Sul punto, però, Jiang Hua, consigliere della Missione permanente cinese presso l’Onu, ha osservato che il nuovo mandato così conferito all’Assemblea dà vita a un meccanismo che attiva automaticamente la convocazione di una riunione di dibattito a seguito dell’uso del potere di veto. “Ciò rischia di causare confusione e caos procedurali. A questo punto è difficile determinare se un tale accordo possa raggiungere lo scopo previsto dalla risoluzione”, ha affermato.
La risoluzione tenta di rispondere ai tanti dubbi sul potere di veto dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nati in seguito allo scoppio russo in Ucraina. La Cina, infatti, si è astenuta dal voto delle risoluzioni di condanna dell’invasione di Mosca ai danni di Kiev.
La guerra in Ucraina come modello per le esercitazioni militari di Taiwan
La guerra russa in Ucraina rappresenta per Taiwan un modello su cui basare le esercitazioni militari di Han Kuang, che si tengono annualmente per simulare la risposta a un attacco cinese. I test militari, che coinvolgono tutti i reparti dell’esercito di Taipei, si concentreranno sulla guerra asimmetrica e cognitiva e sull’uso delle riserve e degli armamenti. E’ questa l’intenzione del capo del dipartimento delle operazioni congiunte del ministero della Difesa di Taiwan, Lin Wen-huang, vuole prendere come fonte di ispirazione la risposta dell’esercito ucraino alla Russia.
Nel frattempo cresce il sentimento di diffidenza dei taiwanesi verso l’invio di truppe Usa in caso di attacco cinese. Un recente sondaggio del Taiwanese Public Opinion Foundation evidenzia che il 53,8 per cento degli intervistati non crede che Washington scenda in campo per difendere Taiwan: la percentuale è quasi raddoppiata dallo scorso ottobre, quando solo 28,5 per cento si mostrava scettico sull’intervento statunitense. Solo il 36,3 per cento crede che le forze statunitensi proteggeranno l’isola dall’invasione cinese dell’isola, ritenuta possibile dal 38,6 per cento degli intervistati. Per il think tank dell’isola, l’invasione russa dell’Ucraina è la ragione principale della perdita di fiducia dei taiwanesi nell’esercito americano.
A cura di Serena Console
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.