Il primo straniero a mettere piede a Shanghai fu un italiano e da allora i nostri connazionali si sono distinti nella vita artistica e culturale di quella che un tempo era chiamata la Parigi d’Oriente. Oggi una ricerca, sponsorizzata dal consolato, ripercorre i luoghi e le storie della presenza italiana di allora. Una migrazione altamente qualificata, con punti di continuità con quella odierna.
“Arrivare a Shanghai oggi è facile, ma pensi ai tempi dei gesuiti… Su tre navi che partivano, solo due arrivavano a destinazione”. Ma anche oggi per espatriare ci vuole coraggio, intraprendenza e un pizzico di incoscienza. Così il professor Giorgio Casacchia, sinologo di chiara fama che fino all’anno scorso ha diretto l’Istituto di cultura di Shanghai ci introduce al lavoro che ha portato avanti con il geografo Stefano Piastra, attualmente professore alla prestigiosa università Fudan. Una mappa storica che ripercorre i luoghi della presenza italiana nella vecchia Shanghai. I documenti sono pochi e frammentari, ma la comunità italiana è sempre stata presente e importante in questa città dell’Oriente.
Il primo straniero a mettere piede a Shanghai era italiano. Era il missionario gesuita Lazzaro Cattaneo, che arrivò nel 1608. E un suo collega, padre Francesco Brancati, fondò qui la prima chiesa cattolica a metà del Seicento. Sempre un italiano, Amer Enrico Lauro, girò i primi documentari a Shanghai già nel 1905. Le brevi pellicole sono andate perse, ma si tratta di due lavori di estremo interesse. La prima documentava la corsa del primo tram, la seconda la dolce vita nel quartiere delle delegazioni straniere. Ancora italiana è stata l’introduzione della musica sinfonica in città. La si deve a Mario Paci che fondò e diresse dal 1919 al 1942 l’orchestra sinfonica di Shanghai. Sempre italiani erano il più bell’albergo degli anni Trenta, il Nuovo Albergo Reale, e le boutique di moda più prestigiose dell’epoca. Qui nacque il primo nipote di Mussolini, figlio del console Galeazzo Ciano e di sua moglie Edda.
Oggi gli italiani ufficialmente iscritti all’Aire nella circoscrizione consolare di Shanghai sono più di 2600, ma secondo il Consolato si può parlare tranquillamente di 9-10mila presenze, impegnate nei più diversi settori. Sono giovani, laureati e occupati. Come ci spiega il console Stefano Beltrame “oggi vengono le società che hanno un interesse strategico al mercato cinese. Gli studi di architettura, ad esempio, che sono riusciti a raggiungere una posizione dominante. Altrettanto si può dire degli avvocati, dei consulenti fiscali e degli italiani che lavorano negli eventi e nella comunicazione. Chi viene deve avere competenze utili da spendere su uno dei mercati più competitivi al mondo. Oggi a Shanghai abbiamo banche, avvocati e commercialisti, oltre alle aziende che portano i loro prodotti”.
Secondo i dati raccolti dalla Fondazione Migrantes (progetto Amico: Analisi della Migrazione degli Italiani in Cina Oggi) dal 2006 a oggi la presenza italiana in Cina è quasi triplicata. E oltre un terzo dei nostri connazionale ha scelto di vivere a Shanghai. Si tratta di una migrazione altamente qualificata: l’84 per cento è laureato, il 68 per cento guadagna più di mille euro al mese e il 45 per cento è compreso in una fascia di età che va dai 25 ai 44 anni. Le regioni di provenienza sono le più ricche di Italia: Lombardia, Veneto e Piemonte.
Anche gli italiani che della “vecchia Shanghai” rappresentavano la parte più ricca e alfabetizzata della società italiana. L’analisi dei flussi migratori ci racconta di un’emigrazione molto particolare. Si tratta prevalentemente di industriali del tessile che venivano dalla Lombardia e di studiosi e uomini di chiesa provenienti dalla Campania.“Regioni da cui all’epoca non si emigrava” ci spiega il professor Piastra. “Qui arrivavi sì per fare fortuna, ma da industriale in cerca di manodopera a basso costo e guadagni facili”.
Si pensi che nella Shanghai di fine Ottocento il signor Daniele Beretta, industriale milanese della seta, possedeva una fabbrica in cui lavoravano più di un migliaio di operaie. “La valigia di chi veniva non era quella di cartone con cui siamo abituati a immaginare i nostri connazionali che partivano per cercare una nuova vita in America” ci racconta ancora Stefano Piastra. "A Shanghai si arrivava con una valigia piena di soldi e vaghe nozioni di capitalismo filtrate dagli inglesi”.
Sappiamo poco della vita di quegli italiani che scelsero di vivere nella vecchia Shanghai. Si tratta del secolo che si apre nel 1842 con il primo dei famosi trattati “ineguali”, quello di Nanchino, e si chiude con l’occupazione giapponese della città nel 1941. Perdendo la prima guerra dell’oppio, l’impero dei Qing venne costretto a permettere agli stranieri di vivere e commerciare sul suo territorio. Vennero così istituiti cinque porti all’interno del territorio cinese e le cosiddette concessioni, quartieri in cui i cittadini di alcune “potenze straniere” godevano di diritti di extraterritorialità.
Shanghai era uno dei porti in questione. Nel giro di pochi decenni aprirono banche e istituti finanziari stranieri e la città si trasformò nella famosa la Parigi d’Oriente, seconda solo a New York per grandezza e internazionalità. Dal punto di vista cinese fu il “secolo di umiliazione” che si chiuse definitivamente quando le truppe dell’Esercito di liberazione si ripresero (o invasero, a seconda dei punti di vista) la città nel 1949.
Fu quello il momento in cui al consolato italiano fu ordinato di distruggere i documenti compromettenti. L’archivista di turno, secondo alcuni troppo pigro, secondo alti semplicemente preso dal panico, non fece alcuna cernita. Così andarono perse non solo le carte più recenti che potevano mettere in pericolo persone ancora in vita, ma tutta la memoria diplomatica della nostra presenza nella città. Rimangono meno di duecento nomi copiati a mano dall’ultimo diplomatico italiano che lasciò Shanghai. Un documento che oggi è gelosamente conservato dalla biblioteca nazionale di Pechino.
Le fonti con cui il consolato di Shanghai sta pazientemente ricostruendo la storia dei nostri connazionali quindi sono soprattutto i quotidiani dell’epoca e i diari personali di quegli expat ante litteram. Ne esce il ritratto di una realtà urbana multiforme e cosmopolita, a spiccata vocazione commerciale. Una Shanghai che è stata altrimenti descritta come città del peccato o città dell’oppio. Sappiamo che all’epoca gli italiani presenti erano poche centinaia. Ma i dati ufficiali ci parlano di un incremento straordinario. Si passa dai 22 del 1890 ai 197 del 1930.
E sicuramente a queste cifre vanno aggiunti tutti coloro che si registravano come francesi per i vantaggi burocratici che comportava e coloro che (oggi come allora) evitavano di prendere la residenza per i più disparati motivi. Certo, un pugno di uomini se confrontati ai 9mila inglesi, 4-5mila francesi, 4-5mila americani, 10-15mila giapponesi, le migliaia di coreani e, i 15-20mila russi in fuga dalla rivoluzione del 1917. Quella italiana è una piccola comunità che occupa una zona specifica della città. Una vera e propria Little Italy in una città multipla in cui convivevano quartieri ed edifici ben distinti in termini architettonici, urbanistici, sociali e etnici.
Negli anni Trenta, il console Galeazzo Ciano e la moglie Edda Mussolini animarono la vita mondana di quella Shanghai che, in ogni caso, offriva loro una degna cornice. Una settantina di filmati dell’Istituto Luce documentano la loro vita “ufficiale”, poi ci sono le memorie di Edda, “La mia vita”, e quelle del figlio “Quando nonno fece fucilare papà”. Una vita di feste e intrecci politici e amorosi descritta bene da Daniele Varè nel suo Il diplomatico sorridente. “I nostri ufficiali di marina stanno volentieri a Sciangai. Neppure in Europa potrebbero godere d’un lusso, come lo offre il circolo cittadino”.
A Shanghai Edda accentuò il suo stile di vita “libero” dedicandosi al poker, all’alcol e ad avventure amorose che contraccambiavano quelle altrettanto frequenti del marito. Tuttavia svolse anche un ruolo diplomatico di rilievo, aprendo la sua casa a invitati importanti, incrementando i rapporti commerciali tra l’Italia e la Cina e ottenendo la fama di prima signora della città. I giornali internazionali pubblicavano le sue fotografie regolarmente e altrettanto frequenti erano i pettegolezzi su di lei. Nel 1931 ebbe il primo figlio, Fabrizio, ed era nuovamente incinta quando nel 1933 i Ciano vennero richiamati a Roma.
Come ricorda l’attuale console Beltrame, “Se già all’inizio del Novecento gli italiani con le loro professionalità si sono conquistati un posto nell’amministrazione della città, oggi la comunità di connazionali è ben più forte. È importare ricostruire le vite e i luoghi degli italiani che ci hanno preceduto a Shanghai. Vogliamo sottolineare come ancora oggi serva un dialogo culturale con la Cina. Ad oggi nell’area consolare di Shanghai ci sono oltre 40 docenti italiani che insegnano nelle università cinesi le materie più disparate: dall’economia, alla fisica, dal design all’urbanistica. Hanno punti di vista privilegiati che possono aiutare i nostri imprenditori ad orientarsi. La Cina oggi è uno dei paesi più importanti del mondo sotto tutti gli aspetti. Bisogna continuare a venirci, perché fa parte del nostro presente”. E del nostro passato, aggiungeremo.
[Scritto per Pagina99we]