Al Jazeera è fuori dalla Cina

In by Simone

Non accadeva da tredici anni che un corrispondente venisse obbligato a lasciare Pechino. Melissa Chan è partita ieri notte e Al Jazeera è stata costretta a chiudere l’ufficio di Pechino per il suo canale inglese. Fare i giornalisti in Cina è sempre più difficile. Al Jazeera, la rete di radiodiffusione via satellite, lunedì è stata costretta dalle autorità cinesi a chiudere la sezione news del suo canale in lingua inglese in Cina.

È il primo episodio del genere dopo tredici anni ed è un segno forte che il Partito comunista al potere dà ai giornalisti stranieri che si occupano di Cina.

Anche la corrispondente Melissa Chan è stata obbligata a lasciare Pechino. Ha preso un aereo lunedì notte, dopo che il governo le ha rifiutato il rinnovo del visto giornalistico né le ha consentito di essere sostituita da un altro corrispondente.

Ne danno notizia tutti i media occidentali, ma nessuna traccia sulla stampa in lingua cinese.

D’altro canto l’aveva scritto lei stessa esattamente un anno fa in un articolo proprio per Al Jazeera sulle condizioni dei giornalisti in Cina.

"In un recente sondaggio del Club dei corrispondenti stranieri in Cina ci sono numeri scoraggianti sulle condizioni dei giornalisti nel paese.

Il 94 per cento dei giornalisti ha l’impressione che il suo ambiente lavorativo sia peggiorato rispetto a quello dell’anno scorso; il 70 per cento ha subito pressioni o violenze di qualche tipo e il 99 per cento concorda sul fatto che le condizioni del giornalismo in Cina non sono conformi agli standard internazionali."

La giornalista si è rifiutata di essere intervistata sulla sua partenza, e la motivazione del governo non è stata esplicitamente indicata.

Ma si mormora che alcuni funzionari si siano irritati per un documentario in lingua inglese sulla rieducazione in Cina attraverso campi di lavoro, o laogai, che Al Jazeera ha trasmesso sulla sua rete nel mese di novembre, ma che aveva prodotto fuori dalla Cina, senza coinvolgere la giornalista Melissa Chan.

I campi di lavoro sono un tema caldo in Cina e sono ancora usati per punire criminali, dissidenti e facinorosi.

Il documentario incriminato fa un passo oltre, definendo i campi una forma di moderna schiavitù in cui milioni di prigionieri producono beni poi rivenduti in tutto il mondo, anche da grandi aziende. Ovviamente la Cina ha negato di vendere gli oggetti prodotti nelle carceri.

L’inchiesta – raccomandata all’epoca da The Bureau Investigates – partiva dalla constatazione che la Cina ha la colonia penale più estesa del mondo. Un dato che non deve impressionare, visto che si tratta dello Stato più popoloso del pianeta.

Raccontava però che i detenuti darebbero costretti – tra i tanti lavori – anche a fabbricare prodotti come luci di natale, parti di calzature, vestiti e macchinari vari.

Pur riportando la versione ufficile per cui lo Stato cinese proibisce l’esportazione dei prodotti che escono dai campi di lavoro, l’inchiesta di Al Jazeera forniva alcune testimonianze dirette di come gli oggetti lì prodotti escano dai confini dello Stato.

Li seguiva fino in America, dove, pure, l’importazione di prodotti fabbricati attraverso il lavoro “non volontario” è proibita. E li trovava in Europa, dove denunciava come – nonostante l’argomento sia stato oggetto di una discussione parlamentare – non sia stata presa alcuna decisione al riguardo.

In una dichiarazione rilasciata oggi 8 maggio, il Club dei corrispondenti esteri in Cina, che ha sede a Pechino, ha ribadito che la Chan non avrebbe svolto alcun ruolo nel documentario che si ritiene sia l causa dell’ira cinese, e che il governo non aveva offerto alcuna specifica ragione per negare il rinnovo della suo visto al di là di non meglio definite "violazioni delle regole".

"Questo è l’esempio più estremo della recente tendenza di usare i visti dei giornalisti nel tentativo di censurare e intimidire i corrispondenti stranieri in Cina" – ha scritto il Fccc in un comunicato stampa – "Sono gli organi di informazione straniera, non il governo cinese, che hanno il diritto a scegliere chi lavora per loro in Cina, in linea con gli standard internazionali".

Al Jazeera English ha espresso rammarico per la chiusura delle sue attività in Cina e ha riferito in un comunicato di aver cercato visti supplementari per i giornalisti per espandere la propria copertura, ma senza successo.

La chiusura rappresenta una perdita significativa per il network Al Jazeera, un canale con una storia di quindici anni e che si è distinto nel panorama dell’informazione come il primo canale di notizie indipendenti nel mondo arabo. Da allora è arrivato ad avere 20 canali con oltre 60 uffici in sei continenti.

"Copriamo costantemente la voce dei senza voce, e a volte ciò richiede una difficile copertura delle notizie da qualsiasi parte nel mondo" ha scritto in una dichiarazione ufficiale Salah Negm, direttore del telegiornale in inglese di Al Jazeera.

"Ci auguriamo che la Cina apprezzi l’integrità della nostra copertura delle notizie e il nostro giornalismo. Apprezziamo questa integrità giornalistica nella nostra copertura di tutti i paesi del mondo. "

Il rifiuto delle credenziali come giornalista per al Al Jazeera arriva in un momento di crescente sensibilità da parte dei funzionari nei confronti della copertura estera delle notizie, dal momento che l’ascesa della Cina – e dei suoi problemi di sempre più di alto profilo sociale e politico – è diventata una questione di importanza globale e, in alcuni ambienti, soggetta a critica.

Negli ultimi tempi, le autorità cinesi hanno privatamente e aspramente criticato la copertura occidentale degli sconvolgimenti nelle gerarchie della leadership del paese dopo la cacciata di Bo Xilai, l’ambizioso membro del Politburo la cui moglie è stata accusata di aver ucciso un conoscente inglese.

E, nell’ultima settimana, i funzionari della sicurezza di Pechino hanno reso la vita difficile ai giornalisti stranieri che hanno coperto il caso di Chen Guangcheng, l’avvocato cieco e attivista per i diritti che è fuggito dagli arresti domiciliari il mese scorso per cercare rifugio nell’ambasciata degli Stati uniti di Pechino.

Venerdì scorso, i funzionari hanno temporaneamente confiscato tesserini e visti a diversi giornalisti che sono entrati nell’ospedale di Pechino dove è confinato l’attivista cieco Chen.

Circa una dozzina di altri giornalisti sono stati convocati dall’ufficio di sicurezza pubblica e sono stati  avvertiti che i loro visti sarebbero stati revocati se non avessero chiesto il permesso prima di richiedere colloqui a funzionari o ad altre persone informate sulla situazione.

I giornalisti in Cina sono in teoria tenuti a richiedere l’approvazione prima di effettuare interviste, ma, in pratica, la regola non è quasi mai applicata.

Le restrizioni nei confronti dei giornalisti stranieri sono state fortemente inasprite negli ultimi 18 mesi, perché i leader cinesi hanno cercato di proiettare un’aura di stabilità e di unità in un periodo di  sconvolgimenti politici globali e per via del cambio della leadership nazionale, in programma questo autunno.

Il giro di vite risale ai primi mesi del 2011, quando agenti di sicurezza hanno arrestato alcuni giornalisti stranieri che cercavano di coprire le cosiddette proteste della primavera dei gelsomini, una campagna on-line per muovere  manifestazioni di solidarietà nei confronti delle rivoluzioni della primavera araba in Medio oriente.

Un giornalista americano è stato duramente picchiato e ricoverato in ospedale. Molti altri sono stati convocati agli uffici di pubblica sicurezza per degli avvertimenti.

Tuttavia, Pechino è in genere restia a espellere i giornalisti stranieri. I pochi casi erano motivati con accuse di violazione dei divieti di sicurezza nazionale.

Il New York Times scrive che l’ultimo caso di un corrispondente straniero accreditato che sia stato espulso risale all’ottobre 1998. Si sarebbe trattato di Yukihisa Nakatsu, il giornalista del più grande quotidiano giapponese, lo Yomiuri Shimbun.

Nakatsu era stato accusato di essere entrato in possesso di segreti di Stato per aver pubblicato delle notizie fornite da un giornalista economico cinese precedentemente arrestato dagli agenti di sicurezza dello Stato.

Prima ancora, nel 1995, la Cina aveva espulso un corrispondente tedesco perché aveva scritto articoli fortemente critici nei confronti dell’allora premier Li Peng, che aveva giocato un ruolo chiave nella decisione di usare la forza per reprimere le proteste di piazza Tian’anmen del 1989.

Nel 1991 Andrew Higgins, l’allora corrispondente dell’Independent, era stato espulso perché trovato in possesso di informazioni riservate su un presunto giro di vite contro i nazionalisti della Mongolia interna.

Sette anni prima, nel 1984, era toccato al celebre giornalista Tiziano Terzani. Arrestato, "rieducato" e infine dichiarato non adatto a vivere in Cina per "attività contro rivoluzionarie". 

La corrispondente di Al Jazeera Melissa Chan, di nazionalità americana, è stata recentemente accettata alla Stanford University per l’anno accademico 2012-13.

[Scritto per Lettera 43; Foto Credits: ibnlive.in.com]