Multilateralismo, integrazione, cooperazione internazionale, apertura. Parole che di recente sembrano essere state sostituite da altre: nazionalismo, sovranismo, protezionismo, chiusura. La pandemia da Covid-19 ha accelerato la contesa tra Stati Uniti e Cina, oltrepassando il confine commerciale e tecnologico per arrivare a comprendere una dimensione (geo)politica e strategica. Una contesa nella quale le organizzazioni internazionali come Unione europea e Asean, così come i singoli Paesi che ne fanno parte, possono (e devono) giocare un ruolo sempre più importante per diversificare le relazioni internazionali e mantenere in piedi un approccio multilaterale. E segnali importanti sono arrivati negli ultimi giorni proprio dall’Italia. Ne abbiamo parlato con Alessia Mosca, segretario generale dell’Associazione Italia-ASEAN, che da anni promuove il dialogo con un’area del pianeta in profondo sviluppo.
Alessia Mosca, l’Italia è diventata partner di sviluppo dell’Asean. Che cosa significa questo passaggio e che cosa possono rappresentare Italia e Asean uno per l’altro?
Si tratta di un grande successo per il nostro sistema Paese. Insieme a Germania e Francia, l’Italia è uno dei primi Paesi europei a formalizzare le relazioni con l’ASEAN. Nonostante l’impatto della pandemia, il Sud-Est asiatico continua a crescere e si sta confermando una delle regioni più vivaci al mondo. Con una popolazione giovane e dinamica, la regione rappresenta un’importante alternativa alle catene di approvvigionamento cinesi, oltre che un mercato in espansione che conta più di 600 milioni di consumatori. Dall’altra parte invece, l’Italia potrà sostenere lo sviluppo dell’area ASEAN attraverso la realizzazione di progetti di capacity building, sviluppo economico e integrazione, basati sul comune approccio multilaterale alle sfide globali.
In che modo sta incidendo la pandemia da Covid-19 sui paesi Asean e sulle loro relazioni internazionali?
A differenza di altre regioni del mondo, i Paesi ASEAN hanno saputo reagire con maggiore prontezza alla crisi pandemica. Forti dell’esperienza della SARS nel 2003, i dieci Paesi si erano già dotati di meccanismi di cooperazione regionale per gestire un’emergenza di questo tipo. Anche le popolazioni stesse hanno saputo meglio adeguarsi alle stringenti restrizioni imposte dai governi, contribuendo a produrre casi di gestione virtuosa come quello del Vietnam. Non è un caso dunque che nonostante il forte rallentamento economico a livello globale, per la regione ASEAN è prevista una crescita, seppure timida, del 2,2% nel 2020.
A livello internazionale, la pandemia ha indotto diversi Paesi ASEAN a rivedere le proprie catene di approvvigionamento con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalle catene di valore cinesi e diversificare la propria produzione. Questo rappresenta un’occasione importante per i Paesi e le aziende interessate al Sud-Est asiatico e, in parte, la decisione dei leader dell’ASEAN di accettare la candidatura di Italia e Francia (insieme a quella di Colombia e Cuba) come Partner di Sviluppo sottolinea questa dinamica.
Si è detto spesso che alcuni paesi del Sud-Est asiatico, in primis il Vietnam, stessero traendo beneficio dalla guerra commerciale Usa-Cina. E’ davvero così? E’ una tendenza che può durare nel tempo?
Sì, le tensioni commerciali tra Washington e Pechino hanno finito per spingere molte aziende a trasferire capacità produttive dalla Cina ai Paesi del Sud-Est asiatico, rafforzando le catene di valore e i sistemi produttivi della regione. Il Vietnam in particolare ha beneficiato di questa dinamica, riuscendo ad attirare molte aziende che volevano delocalizzare, grazie all’attrattività del proprio sistema economico. C’è poi anche la dimensione geopolitica. Nello scontro tra i due giganti, l’ASEAN svolge un ruolo centrale in quanto partner geografico della Cina e baluardo nel Pacifico per gli USA. Entrambe le potenze puntano a esercitare la propria influenza nella regione, mettendo i Paesi ASEAN nelle condizioni di trarre vantaggio da questa situazione. La Cina sta investendo molto in ASEAN, mentre gli USA stanno tentando un riavvicinamento, soprattutto sul tema della sicurezza collettiva, dopo alcuni anni di passività. Questa tendenza sembra destinata a durare finché i Paesi ASEAN riusciranno a bilanciare la propria posizione tra Washington e Pechino.
Lei ritiene davvero che si possa andare incontro a un decoupling? E se si andasse incontro a una regionalizzazione della globalizzazione quali sarebbero gli effetti sull’Asean e sui rapporti di forza nell’Indo Pacifico?
Non credo che si possa effettivamente andare incontro a un decoupling, né penso che sia uno scenario auspicabile. Anche se in molti dopo questa crisi pandemica insistono sul concetto di autonomia strategica, non possiamo fermare il processo di globalizzazione. Nonostante tutto, con lo sviluppo di tecnologie sempre più innovative continueranno a crescere i livelli di interconnessione e interdipendenza. Piuttosto che regionalizzare i sistemi produttivi, sarebbe più consono ripensare e rafforzare le catene di valore globale, diversificando la produzione e gli approvvigionamenti e dando maggiore attenzione alla necessità di ridurre gli squilibri tra Paesi e regioni. Un processo di regionalizzazione della globalizzazione sarebbe controproducente sia per i Paesi europei che per l’area ASEAN, contribuendo a cristallizzare gli squilibri produttivi tra i continenti. Specialmente per il Sud-Est asiatico, regionalizzazione vorrebbe dire maggiore dipendenza dal gigante cinese. Al contrario, i Paesi della regione stanno puntando sulla diversificazione delle proprie partnership strategiche e commerciali con l’obiettivo di acquisire una maggiore autonomia a livello globale.
L’Unione europea ha vissuto negli scorsi anni una crescita dei cosiddetti sovranismi o nazionalismi che ne hanno messo a rischio la coesione. A che livello è l’integrazione non solo commerciale ma anche politica all’interno dell’Asean e quale ruolo possono giocare queste due organizzazioni nel mondo post Covid?
Il progetto di integrazione dell’ASEAN è molto diverso da quello europeo. Diverse sono la storia e la cultura di queste due aree del mondo. Tuttavia, andrebbe ricordato che l’ASEAN rappresenta un miracolo politico, in una regione densa di culture politiche, etnie e religioni diverse. Seppure meno avanzata rispetto all’Unione Europea, l’ASEAN rappresenta un fondamentale forum di discussione politica per i Paesi del Sud-Est asiatico, e progressi significativi sono stati fatti negli ultimi anni per rafforzare la dimensione politica dell’Associazione. Pur non avendo ancora sviluppato una dimensione propriamente sovranazionale, durante la pandemia i Paesi dell’ASEAN hanno messo in campo una risposta comune, condividendo informazioni e stabilendo protocolli regionali.
ASEAN e UE condividono un approccio multilaterale e volto al libero scambio, e hanno entrambe interesse a rafforzare questi principi di fronte all’emergere di uno scontro geopolitico unilaterale tra Stati Uniti e Cina. Sarà cruciale per entrambe le organizzazioni rafforzare il dialogo e la cooperazione per non finire coinvolti nella guerra commerciale tra Washington e Pechino, e svolgere un ruolo da protagonisti, e non comprimari, nella fase post-pandemica.
In Italia si è parlato molto di Cina negli scorsi due anni. Prima per l’adesione alla Belt and Road, poi in riferimento al Covid e al 5G. La Cina pare essere diventato un argomento divisivo da utilizzare in campagna elettorale anche qui, non solo negli Usa. I nostri ultimi due governi hanno provato a intensificare i rapporti commerciali con Pechino, e c’è chi sostiene che questo possa provocare delle conseguenze sul posizionamento geopolitico del paese. Crede davvero sia così? E un’intensificazione della cooperazione con l’Asean si inserisce di più in un contesto di accresciuta attenzione verso Oriente e dunque in continuità al MoU con la Cina oppure può rappresentare il tentativo di diversificare i propri rapporti in quella parte di mondo e aderire a una visione diversa di Indo Pacifico (sul quale pare stia puntando anche la Germania di Angela Merkel)?
La Cina è uno dei Paesi più grandi e potenti al mondo, e sarà difficile costruire un rapporto proficuo con un approccio aggressivo e sospettoso. Nonostante grandi diversità, specialmente sul piano politico, per l’Europa resta fondamentale sviluppare relazioni solide e costruttive con il gigante cinese. Esattamente come per l’ASEAN, credo che l’Europa non debba schierarsi nella sfida unilaterale tra Cina e USA, ma anzi rilanciare sul piano del multilateralismo e del libero scambio con i partner che condividono questi principi. A tale proposito, la regione del Sud-Est asiatico può diventare essenziale per l’UE. Germania, Italia e Francia l’hanno capito e stanno cominciando a orientare maggiormente la propria politica estera e commerciale verso la regione dell’Indo-Pacifico. L’idea resta quella di diversificare i rapporti internazionali dando nuovo slancio al principio del multilateralismo, messo in crisi dalle spinte nazionaliste e protezionistiche. Nonostante le difficoltà che stiamo vivendo, questo non è il momento di essere timorosi dell’altro, è anzi il momento di capire finalmente che le sfide dell’era moderna coinvolgono tutti, e richiedono dunque la partecipazione di tutti per trovare soluzioni efficaci.
[Pubblicato su Affaritaliani]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.